Donald vince, Giorgia non perde: siamo sulla buona strada
Giovanni Sallusti · 28 Giugno 2024
Cari ascoltatori, ieri vi abbiamo raccomandato di tenere d’occhio la doppia partita Bruxelles-Atlanta, cioè le nomine nell’Unione e il dibattito per la Casa Bianca, i due momenti decisivi per il destino prossimo dell’Occidente: il nostro bilancio è che Donald vince e Giorgia non perde.
Per quanto riguarda l’Europa, la notte scorsa è accaduto quel che si sapeva da dieci giorni: è stato ratificato all’Europarlamento l’accordo raggiunto nel “caminetto” ristretto dei soliti noti, cioè popolari, socialisti, liberali, che hanno ufficializzato le nomine della Von der Leyen, confermata Presidente della Commissione, dell’ex premier portoghese Antonio Costa come Presidente del Consiglio europeo e della premier estone kaja Kallas come Alto rappresentante per la politica estera. Il tutto è avvenuto, come abbiamo più volte detto, prescindendo con disinvoltura dal risultato del voto nei Paesi europei principali, che ha registrato la richiesta popolare di una svolta verso destra, una svolta meno ideologica, più conservatrice, più identitaria.
Ecco, Meloni non ha perso perché non è caduta nella trappola del caminetto. Si è astenuta su Von der Leyen e ha votato contro le altre due nomine. Ha prevalso la sua lucidità politica: cioè non si è fatta normalizzare, come invece speravano i giornaloni, l’establishment. Meloni è rimasta fuori, ha dichiarato inaccettabile questa partita delle nomine, sia nel metodo sia nel merito. Nel metodo, perché il caminetto è formato da un partito che ha vinto, i Popolari, e due che hanno perso ma che sembra abbiano accesso comunque alle nomine per una specie di diritto divino. E nel merito, perché con questo asset vengono promosse per il futuro politiche uscenti già bocciate da gran parte dei popoli europei, eurofollie gretine in primis. Meloni è rimasta coerente con se stessa, con i valori conservatori, quindi è politicamente viva e in campo.
Donald Trump, dal canto suo, ha stravinto: la Cnn ha citato un sondaggio secondo cui per il 67% degli americani ha prevalso Trump, certificando che l’incontro televisivo più che un dibattito è stato uno stillicidio. Anzitutto psicofisico, cioè è emersa l’inadeguatezza di Biden a ricoprire ancora il ruolo di comandante in capo degli Usa. E questa è un’impressione che ormai serpeggia soprattutto nelle teste pensanti dei democratici americani. Secondo le indiscrezioni della stessa Cnn, si sta facendo largo l’idea di sostituire Joe Biden, e anche in fretta. Il punto è: con chi? Michelle Obama, per esempio, trionferebbe sulle coste ma crediamo non sia in grado di contendere a Trump nessuno Stato dell’America profonda. Per i dem la situazione è a un’impasse.
Va anche osservato che Trump non ha vinto solo per la disfatta di Biden. Ha vinto anche per il modo in cui lo ha incalzato e dominato nei temi di politica interna ed estera: lo ha attaccato sulla ritirata disordinata e folle dall’Afghanistan, l’ha definita come “l’episodio più imbarazzante della nostra storia”, che ha inoltre dato una specie di via libera tutti i satapi, i dittatori, i tagliagole in giro per il mondo: senza questo segnale di debolezza Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina americana, né il Medio Oriente si sarebbe incendiato così. Sull’immigrazione, poi a Trump è bastato riportare un dato di cronaca, cioè che il confine sud è totalmente fuori controllo.
In questo si somigliano, Trump e Meloni: vincono, o avanzano, o resistono non per mancanze altrui, ma per quello che loro stessi rappresentano: Donald vince, Georgia non perde. Ed è un buon segno per il futuro.