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Anche negli ambienti libertari e conservatori, Elon Musk ha spesso sollevato dubbi e perplessità. D’altra parte, per molti anni egli è stato uno dei protagonisti del capitalismo woke, dato che ha costruito il suo impero attorno a Tesla, l’azienda leader nel settore delle auto elettriche. Sotto vari punti di vista, ora che s’è schierato al fianco di Donald Trump e della rivolta popolare che egli interpreta, risulta ancor più evidente come il suo passato successo si fondi esattamente su ciò che oggi lui stesso dichiara di voler combattere. Non bastasse tutto ciò, inquietano alcune sue iniziative, che sfiorano i confini del transumanesimo.
Tuttavia Musk rappresenta una novità radicale e un fattore di disturbo per i veri potenti del mondo: un simbolo di quel cambiamento che sta sfidando l’ordine stabilito e che potrebbe segnare una svolta decisiva nelle dinamiche sociali, politiche ed economiche globali. Il suo impatto, che va ben oltre le aziende tecnologiche che possiede, può essere interpretato come un segnale di trasformazioni in grado di ridefinire alcuni dei principi su cui poggia l’assetto globale.
Se vogliamo comprendere la portata della sua influenza, dobbiamo partire da un elemento centrale della visione che egli ha esposto negli ultimi anni: ossia il suo impegno incondizionato per la libertà di espressione, un valore che oggi appare minacciato forme di censura e controllo sempre più pervasive.
In questo senso, decisivo è stato l’acquisto (nel 2022) di Twitter: una mossa che ha sorpreso molti. Musk non si è limitato a diventare il proprietario di una delle piattaforme di social media più influenti del mondo, ma ha subito annunciato di volerla trasformare in un campo di battaglia per la libertà di parola. Ha ribadito più volte che il suo obiettivo era ridurre al minimo le forme di censura, restituendo agli utenti la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni, anche quando queste risultano scomode, controverse o impopolari. A seguito di questa dichiarazione, Musk ha rinominato ...
Fra le tante accuse, quasi sempre in malafede, che si sono sentite in questi giorni rivolte al nuovo Codice della strada varato dal Ministro Salvini, una in particolare esige una risposta forte e chiarificatrice. Per alcuni commentatori, infatti, l’inasprimento delle pene previsto sarebbe in contraddizione con i principi del liberalismo: indice di un deficit di cultura liberale e della mentalità repressiva e autoritaria che accomunerebbe, fra l’altro, Salvini agli altri esponenti del governo in carica.
Che sia una tesi pretestuosa lo si dimostra con un semplice ragionamento. È assolutamente vero, infatti, che in certi ambienti liberal-libertari, soprattutto americani, si usa dire che, se qualcuno ha intenzione di correre come un pazzo su una strada e rompersi la testa, ha tutto il diritto di poterlo fare. In linea di massima, cioè da un punto di vista astratto e teorico, il principio vale: l’individuo, in ottica liberale, gode di una sovranità assoluta e può pensare e comportarsi come meglio crede. La vita gli appartiene e, come c’è un diritto al “perseguimento della felicità”, per dirla con i Padri Fondatori, così deve concedersene anche uno all’infelicità e persino all’autodistruzione. Di tutto abbiamo bisogno fuorché di uno Stato Pedagogo, che è poi una variante dello Stato Etico, che ci dica nei particolari come comportarci.
Tutto vero. Se però scendiamo dalla teoria alla realtà concreta ci accorgiamo che ogni individuo deve ogni giorno mettere in gioco la sua assoluta libertà nella società. Detto altrimenti, deve fare i conti con la uguale libertà e con la vita di tutti gli altri. È in questa dimensione sociale che perciò la questione va correttamente collocata. Guidando un mezzo da ubriaco o sotto l’effetto di droghe, sfrecciando in città anche sui marciapiedi come spesso avviene, guidando avendo in una mano un telefonino, ecc. ecc., io metto a repentaglio non solo la vita mia ma anche quella degli altri. Di fronte a un aumento esponenziale degli incidenti e delle morti ...