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Occhio alle prossime ore, perché sarà tutta una corsa del Giornalista Collettivo a piazzare trappole sulla possibilità di un racconto onesto del summit tra Donald Trump e Vladimir Putin, storia che si svolge davanti agli occhi e irrita le menti ideologiche. Si isoleranno alcuni fotogrammi e se ne cestineranno altri, si ricamerà sul battimani con cui il presidente americano ha accolto l’ospite e si depotenzierà la portata ultrasimbolica dell’inedito avvenuto poco dopo, il megabombardiere B-2 (eccellenza dell’aeronautica Usa e solo di quella, ciò che ha permesso di annichilire il programma nucleare iraniano, per capirci) che sorvola il capo dello Zar a ricordargli l’asimmetria di potenza convenzionale.
Se vogliamo uscire dal giochino propagandistico dei dettagli, bisogna tenere ferma la cornice generale e il risultato specifico. La prima è emersa chiaramente dal lessico ricorrente nella conferenza stampa dei due (“affari”, “Artico”, “cooperazione commerciale”, “relazioni bilaterali”): in Alaska NON si è parlato solo di Ucraina. Perché, fortunatamente, l’agenda del mondo non la fanno i nostri (a volte nobili) desideri ombelicali. In Alaska si è iniziato un tentativo di ristrutturazione del (dis)ordine globalista, più che globale, rispetto a cui pesi e obiettivi dei due interlocutori sono palesemente sbilanciati, ma potenzialmente sovrapposti. Trump pensa e agisce da capo della potenza mondiale egemone (l’ “isolazionismo” esiste solo in qualche anfratto Maga particolarmente folkloristico, come ha dimostrato la questione iraniana) e mira ad arrestare e invertire il paradossale flusso di una globalizzazione promossa dall’Occidente a oggettivo vantaggio della potenza emergente, dicesi Cina. Putin pensa e agisce da despota di una potenza regionale atipica, perché dotata di proiezione nucleare globale e ultimativa, e mira sostanzialmente alla riammissione tra gli architetti del nuovo ordine. Da questo punto di vista, il suo virgolettato-chiave è: “Gli accordi di oggi sono un punto di partenza per nuove relazioni pragmatiche con gli Stati Uniti”. Il punto in cui le due ottiche s’intersecano è: divincolare la Russia dall’abbraccio con la Cina (visuale americana), o ...
I giovani oggi sono penalizzati, ma riceveranno — si dice — oltre 6.400 miliardi di euro nei prossimi vent’anni. Per questo, secondo economisti e opinionisti, bisognerebbe rafforzare il prelievo sui trasferimenti tra generazioni, tassando i patrimoni superiori al milione di euro. Un’idea rilanciata da "The Economist" e ripresa da "La Stampa", che promette un nuovo “ascensore sociale” finanziato con ciò che altri hanno costruito. Tuttavia, siffatta proposta, presentata come saggia e ragionevole, è in realtà un attacco diretto alla libertà, alla responsabilità, alla famiglia e alla proprietà.
Colpire ciò che si trasmette è tassare due volte la stessa ricchezza: una volta quando viene guadagnata; l’altra quando si trasferisce. E farlo in nome dell’eguaglianza non lo rende meno ingiusto. Il lascito non è un privilegio, ma la conseguenza di un diritto fondamentale: quello di disporre liberamente del frutto del proprio lavoro. Se è legittimo educare un figlio, trasmettergli conoscenze e valori, perché non dovrebbe esserlo affidargli anche beni materiali?
Il prelievo successorio agisce nel momento più arbitrario possibile: la morte. Non è un evento economico, bensì un fatto umano, intimo, non ripetibile. Colpire proprio lì, nel passaggio tra generazioni, è un gesto che ha più a che fare con il potere che con la fiscalità. Nessuno può giustificare una tassa su beni frutto di lavoro, tassazione e sacrifici passati. È una sanzione postuma contro chi ha risparmiato invece di consumare, contro chi ha pensato al futuro anziché vivere di sola rendita pubblica.
I beni trasmessi in famiglia non sono una rendita passiva. Un patrimonio, per essere mantenuto, richiede impegno, competenze, capacità di rischio. Il capitale si deteriora, cambia forma, perde valore se non viene curato. Eppure, lo Stato pretende di tassare questo passaggio come se fosse un guadagno certo e garantito. Il risultato? Una doppia ingiustizia. La prima verso chi ha costruito e programmato. La seconda verso chi riceve, punito per il solo fatto di essere erede, familiare, amico, destinatario di ...