Basta farloccate: per l’Ucraina esiste solo la pace di Trump
Giovanni Sallusti · 21 Novembre 2025
Cari ascoltatori, come vedete, da ieri imperversa un racconto tutto parziale, ombelicale, sconnesso dal contesto globale, sul tentativo di piano di pace tra Russia e l’Ucraina allestito dall’amministrazione Trump. Ieri parlavamo delle derive comiche, pur immerse nella tragedia di una guerra sanguinosa, di questa narrazione: per tutto il giorno si è detto che Zelensky schifava l’accordo, che l’Ucraina non l’avrebbe neanche letto e avrebbe cercato un piano alternativo con gli ex volonterosi, i leader europei convinti di fare a meno dell’America. Poi Zelensky ha detto “vado a incontrare Trump, sono pronto a lavorare costruttivamente sul suo piano” e il castello, lo vedano o no, è venuto giù.
Il fatto è che è stata fatta passare una caricatura di questo piano: e invece, mano a mano che se ne vengono a sapere i dettagli, si scopre quanto sia serio e preciso, frutto di un lavoro durato settimane, proprio mentre il mainstream dava il presidente Usa come immobile, impantanato. È stato preparato materialmente dall’inviato speciale di Trump Steve Witkoff, triangolando con il segretario di Stato Marco Rubio e Jared Kushner, genero di Trump e personaggio chiave della diplomazia (per esempio in Medio Oriente). Queste figure hanno svolto un lavoro oscuro e continuativo, consultandosi con l’inviato russo Kirill Dmitriev e il consigliere per la sicurezza nazionale di Zelensky, Rustem Umerov, fino ad arrivare a una bozza di accordo.
Il piano prevede delle rinunce inevitabili da parte ucraina, perché la sua ossatura, l’unico schema credibile, è cessione di territori in cambio di garanzie, Donbass e Crimea contro garanzie Nato, esplicitate ai punti 5 e 9, in caso di una nuova aggressione russa. Ora anche lorsignori non possono più ignorare questo documento, ma riescono a travisare lo stesso, perché lo raccontano come se la guerra tra Russia e Ucraina fosse un capitolo slegato dalla geopolitica contemporanea.
Non è così per Trump. Dal punto di vista americano questo è un dossier da chiudere decorosamente – ma non con una resa a casaccio – perché distoglie gli Usa dalla sua priorità (che è la stessa del mondo libero): il tornante della storia, il confronto epocale con il gigante comunista cinese. In questi giorni abbiamo sentito dire che il comunismo non esiste più, anche da autorevoli giornalisti (per esempio Stefano Cappellini di Repubblica ospite da Nicola Porro), pur avendo davanti il più grande totalitarismo del pianeta che ha lanciato una sfida al mondo libero: Xi Jinping ha aggiornato la dottrina del partito comunista cinese, parla di obiettivo di dominio globale, sta innalzando la tensione con il Giappone – e la premier giapponese ha fatto capire che il Giappone non assisterà inerte, se la Cina aggredisse Taiwan. Insomma, lo scacchiere decisivo per il futuro globale è il Pacifico.
Trump sta gestendo tutto questo mantenendo l’ottica del deal: tiene aperto il tavolo con Xi perché quello è l’unico dossier che conta. La recente visita di Bin Salman alla Casa Bianca è un altro pezzo importante collegato all’intero scenario: l’Arabia Saudita, storico alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, sotto la presidenza Biden aveva iniziato una politica dei due forni, avvicinandosi anche a Pechino. Con Trump, invece, sono stati stipulati accordi commerciali e partnership tecnologiche mai viste prima, anche sull’intelligenza artificiale. Tanto che Bin Salman ha dichiarato che l’Arabia Saudita è pronta a entrare nell’impalcatura degli accordi di Abramo (con la postilla retorica del riconoscimento dello Stato di Palestina, perché non poteva evitare di metterla).
Così Riad è tornata a essere un alleato strategico degli Stati Uniti nell’area, il perno del suo ridisegno, tregua di Gaza e marginalizzazione definitiva dell’Iran totalitario incluse, e Teheran è alleata di Putin e della Cina: tutti gli scenari sono comunicanti. Allora, smettiamola di raccontare la guerra in Ucraina attraverso le isolate paturnie europee: gli europei non possono incidere nella realtà di oggi, quando c’è da discutere un piano Zelensky va da Trump. La realtà è che è tutto connesso: per gli americani c’è un dossier da chiudere, in ballo c’è il ridisegno dell’odine globale, e un mondo a trazione americana sarà sempre meglio di un mondo a trazione cinese.
