Mai dire “comunismo”: e la caduta del muro sparisce
Giovanni Sallusti · 10 Novembre 2025
Cari ascoltatori, ci sono quattro sillabe che da sinistra non si odono mai, che sono impossibili da pronunciare: co-mu-ni-smo. Sembrano facili ma evidentemente non lo sono, dal momento che il 99% del mainstream politico, intellettuale, editoriale e giornalistico ieri non è riuscito a dire “comunismo”: eppure era il 9 novembre, anniversario del crollo del Muro di Berlino avvenuto nel 1989, e con esso di quella che Winston Churchill chiamò Cortina di ferro, la separazione anche fisica di due mondi nel cuore dell’Europa. Da una parte c’era la libertà e dall’altra l’oppressione, democrazia contro tirannia: prosperità di qua e squallore del socialismo reale di là, questo era il muro di Berlino.
I giornali sono bravissimi a imbastire paginate su qualunque sottoanniversario di quint’ordine, anche solo per riempire le pagine: ebbene, zero righe, zero titoli per l’anniversario di uno spartiacque che ha cambiato la storia d’Europa e dell’Occidente. Il fatto è che i vari capi e capetti del triste centrosinistra odierno i conti con la storia non li fanno, e le quattro sillabe non le pronunciano. Anzi no, uno c’è: è il cabarettista Angelo Bonelli, l’unico che faceva meglio a tacere, visto che se ne è uscito con un colpo di reni comico, ha collegato il muro di Berlino a “un altro muro che oggi resiste, quello voluto da Netanyahu a Gaza”. Ma Bonelli ha un’ossessione, vede Netanyahu dappertutto, forse anche in bagno mentre si fa la barba.
Per questo è ancora più curioso che, invece, un’altra parola attraversi tranquillamente ogni giorno e si impossessi del dibattito: la parola è fascismo. Non solo per il 25 aprile, data in cui giustamente viene sottolineata perché si festeggia la liberazione da quel volto del totalitarismo. È che il fascismo viene scomodato di continuo, se si parla dei rapporti tra familiari della premier e il Garante della privacy è subito fascismo, se si parla di Salvini che critica gli infiniti “scioperi del venerdì” della Cgil è subito fascismo.
Ma il comunismo, niente, neppure in una ricorrenza così importante come la caduta del Muro riescono a citarlo. È una specie di religione, tutto è proiezione delle loro ossessioni ideologiche, di quelle paturnie ombelicali, e i loro stantii riti pseudo-intellettuali sono il riflesso del fenomeno che Umberto Eco chiamava “fascismo eterno”, per cui tutta la storia, anche quella di oggi che è tutt’altro, resta sempre una lotta tra fascismo e antifascismo.
Poco importa che dei poveracci – parliamo di gente come Hannah Arendt, la filosofa che ha definito la categoria di totalitarismo, o come Karl Popper, maestro di libertà, o come il filosofo francese Raymond Aron che nell’era del conformismo gauchista ha tenuto il punto sulla libertà occidentale – abbiano concluso che il mostro del secondo Novecento, il totalitarismo, aveva due facce: il nazifascismo da cui è giustissimo festeggiare la liberazione “vera”, non quella retorica; e il comunismo, che per decenni ha sequestrato le vite e le libertà di metà Europa, e che cadde il 9 novembre 1989.
Con un estremo gesto di onestà si potrebbe anche ricordare che mentre il nazifascismo è scomparso, il comunismo è ancora ben vivo: la principale dittatura esistente sulla fascia della terra, la Cina, è una dittatura comunista. Il regime della Corea del Nord è un’orrenda propaggine dello stalinismo dinastico che connota la disgraziata storia di quel Paese. E quindi, a maggior ragione, quantomeno per l’anniversario del 9 novembre, bisogna avere il coraggio di pronunciare quelle quattro sillabe, co-mu-ni-smo, un marchigegno che ancora infesta il mondo.
