Che ridere il mainstream in ansia per le povere banche

· 27 Ottobre 2025


Cari ascoltatori, poiché l’allarme fascismo non ha funzionato e alla fine si è rivelato l’anacronistica presa per i fondelli che è, poiché l’allarme genocidio è stato smentito da quell’orco di Donald Trump che ha ottenuto la pace in Medio Oriente, e poiché è risultato inverosimile anche l’allarme sulla libertà di stampa sulla bocca di quelli che legittimamente criticano senza problemi ogni giorno il governo di centrodestra sui talk e sui giornali, ecco che lorsignori s’inventano l’allarme banche. Nella bolla mainstream sono tutti molto in ansia, soprattutto quelli che una volta si chiamavano compagni. Sembra che abbiano cambiato compagnie, dalla classe operaia sono passati ai finanzieri, cosa di cui ci si siamo accorti da un po’; comunque, il nuovo scandalo è il contributo previsto in manovra da parte delle banche.

Su questo vi leggiamo due virgolettati, uno della premier Giorgia Meloni e uno del ministro Matteo Salvini, che ha fatto di questa battaglia un asset qualificante della politica della Lega. Meloni: “Occorrono risorse da chi ha avuto grandi benefici dalla nostra politica”, cioè non dal mercato, “non vogliamo tassare la ricchezza prodotta dalle aziende perché daremmo un segnale sbagliato, vogliamo un contributo sulla rendita accumulata per condizioni di mercato che la politica del governo ha fortemente contribuito a creare. Ho spiegato che per mantenere i conti in ordine occorrono delle risorse, e le abbiamo chieste a chi grazie a questa politica ha avuto dei grandi benefici”.

Matteo Salvini: “Non c’è accanimento nei confronti delle banche, mi limito a leggere i bilanci: le banche hanno fatto 112 miliardi di euro di utili, una parte di questi coperti da garanzie dello Stato, per cui se va bene si va in utile, se va male c’è lo Stato. Chiederò che sul piano casa una parte dei fondi arrivi con gioia ed entusiasmo da un sistema che sta facendo margini importanti”.

Qual è l’elefante nella stanza? La gigantesca ipocrisia di lorsignori, che è descritta perfettamente dai virgolettati dei due leader: non c’è alcuna aggressione alla ricchezza accumulata per merito di mercato. Se fosse così, da parte di un governo di centrodestra sarebbe una bestemmia e noi saremmo i primi a essere incazzati. Ma non è così. In un momento di estrema criticità internazionale, in cui Paesi europei come Francia e Germania vedono le loro economie traballare, se non franare, come accade a molte filiere industriali del continente, il ragionamento di Meloni e di Salvini è che il contributo che serve non lo si prende dall’economia reale, non dalle imprese né dal lavoro; ma da un segmento atipico che ha realizzato mega-profitti atipici, figli o di decisioni di registi politico-tecnocratici, tipo l’innalzamento dei tassi d’interesse della Bce, o di condizioni, come il rating migliorato, l’attrattiva internazionale dell’Italia aumentata, che sono direttamente riconducibili alla politica, non certo all’iniziativa di lorsignori.

Esiste una differenza – e questa sì che è una cosa di centrodestra, liberale, conservatrice – tra la produzione reale, il lavoro e l’impresa che combattono nella trincea quotidiana della realtà, e le bolle di settore, bolle finanziarie, come quella bancaria, che non vivono delle dinamiche di mercato. Senza alcun accanimento, come dice Salvini, non si va certo a prendere un contributo da chi lavora e produce, come invece accadeva quando a governare era il Pd. Oggi no: oggi se si deve prendere qualcosa, lo si prende dalle bolle privilegiate.


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