Il Leonka era illegale da 30 anni: Sala, cazzo ti “irriti”?

· 22 Agosto 2025


Cari ascoltatori, dobbiamo proprio dire al sindaco di Milano: no, caro Giuseppe Sala, siamo noi che siamo irritati, sono i milanesi che sono irritati, dal fatto che lei si è irritato per il ripristino della legalità in città, per la tutela di un valore fondamentale, la proprietà privata, per lo sgombero del centro sociale Leoncavallo. Un’azione che non è la bestemmia che hanno recepito i salotti della ztl gauchista che lei frequenta, sindaco, ma un atto di sacrosanta tolleranza zero, come abbiamo detto ieri evocando Rudy Giuliani, nei confronti dell’illegalità.

Le esternazioni del primo cittadino hanno toccato vette di surrealismo difficilmente raggiungibili, e ovviamente sono state presentate dai giornaloni come ovvie, anzi dotate di una loro ragionevolezza: primo fra questi proprio il Corriere della Sera, un tempo organo della borghesia meneghina produttiva, non dei centri sociali che occupano immobili abusivi.

Sala è “irritato” anzitutto perché non sapeva nulla dello sgombero, come se si dovesse chiedere il permesso a lui prima di ripristinare quello che è scritto nelle leggi e nella Costituzione, il diritto alla proprietà privata, previsto e tutelato nel nostro ordinamento. Sala ha anche rincarato: “Il centro sociale riveste un valore storico e sociale nella nostra città”. Il che è vero, ma dipende in che senso, è anche una storia di illegalità durata decenni: perché non pagare l’affitto dell’immobile dove ti trovi? Ma Sala insiste: “Il centro sociale deve continuare a emettere cultura”: si possono emettere radiazioni, non la cultura. La cultura, che sia scrittura, o arte figurativa, o musica, si automanifesta, non deve essere “emessa” con il bollino del Comune in quanto cultura dei buoni- e degli abusivi.

Sala, bontà sua, aggiunge che il Leonka “certo, deve continuare a farlo chiaramente in un contesto di legalità”, e per fortuna alla fine è arrivato il suo permesso, nel quale ci pare di cogliere un’ombra di autocritica. Infine, “da anni il Leoncavallo è un luogo pacifico di impegno”: l’impegno, altra parolina magica del culturame progressista, che fa tanto Novecento sartriano, sebbene fra Sartre e gli “sfaccendati” del Leoncavallo, come li ha definiti Vittorio Feltri, ci sia un abisso; inoltre che sia sempre stato un luogo pacifico è discutibile, dal momento che, nella storia di Milano, gli occupanti sono stati anche protagonisti di scontri non tanto pacifici.

Vorremmo dunque fare una domanda a Sala, uomo dalle mille metamorfosi: manager e uomo di mercato, ex ad di Pirelli Tyre, ex direttore finanziario di Telecom, uomo che ha bazzicato il capitalismo, anche se il capitalismo di relazione all’italiana; poi riferimento della gauche caviar milanese, poi per una breve stagione alfiere dell’ambientalismo gretino, poi ipotetico e inverosimile federatore di un inverosimile centrosinistra. La domanda è: in Italia esiste o no il diritto alla proprietà privata? Se la risposta è sì, non c’è di che essere irritati, né da cavillare sul ruolo storico, ma bisogna applaudire allo sgombero del Leoncavallo; se la risposta è no, Sala ci deve spiegare che differenza c’è tra la Milano (e l’Italia) che ha in mente lui e la Cina, la Russia o la Corea del Nord.


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