Gufi, camerieri e comparse: dizionario degli anti-trump
Giovanni Sallusti · 12 Agosto 2025
Cari ascoltatori, gufi, camerieri e comparse sono le tre categorie che stanno monopolizzando in modi variamente surreali il dibattito nostrano, in avvicinamento al summit Trump-Putin. I gufi sono la quasi totalità dei giornaloni, che oggi danno già per fallito l’incontro, ovviamente per colpa di Trump, manifestando una strana forma di putinismo indiretto: che Trump, il leader del mondo libero, fallisca è per costoro così ciecamente importante, che se Putin uscisse rafforzato o vincente a loro non importerebbe.
I camerieri sono quelli come Ursula von der Leyen, come l’Unione, come i fantomatici leader europei i quali, come ha detto Matteo Salvini, in Alaska possono al massimo portare il caffè, sempre che li facciano entrare. Questo è l’attuale “non ruolo” delle istituzioni continentali, dell’eurocrazia, rispetto alla possibilità che in Alaska si ridisegnino i confini e la pace in Europa: dovrebbero rifletterci gli eurotalebani che vedono l’Unione dirigista e burocratica come stella polare del nostro futuro.
Poi ci sono le comparse, cioè quelli – fra i quali gli stessi leader europei -che strepitano perché Zelensky non ci sarà, e mandano lettere, tutti riti autoreferenziali che non hanno alcuna incidenza sulla realtà. La comparse sono quelli che non capiscono che al tavolo, anche simbolicamente, ci sono solo Donald Trump e Vladimir Putin, e che questa è un’ottima cosa per l’Occidente, a patto di capire lo schema trumpiano: Trump contesta la globalizzazione farlocca promossa dall’Occidente, che gli si è rivoltata contro quando masochisticamente si è concesso ad altre aree del globo, Cina in primis, di essere fabbrica del mondo, nella convinzione che le nostre società potessero crescere all’infinito come terziario e limitarsi a consumare qualcosa prodotto altrove.
Trump ha un piano complessivo per sbaraccare questo disordine globale che fa gli interessi di Pechino: per esempio, ha appena concluso un accordo con due colossi dei microchip statunitensi, che potranno continuare a vendere tecnologia ai cinesi, ma il 15% dei proventi verrà incassato dal governo americano. L’incontro con Putin è molto importante per il futuro dell’Occidente: se dal summit uscisse una bozza di accordo, Trump sarebbe riuscito a mettere sul tavolo l’assioma di Henry Kissinger, cioè evitare la saldatura tra i due giganti: a suo tempo Kissinger separò la Cina dall’Unione Sovietica perché il Dragone era il soggetto più debole; oggi il soggetto più debole è Putin – anche se gli antiputiniani di maniera lo sopravvalutano – che ha un’alleanza tattica con Xi Jinping, ma non può consentire di diventarne vassallo.
In questo stallo, un accordo con Trump consentirebbe a Putin di divincolarsi dall’abbraccio con la Cina, iniziando a inclinare un asse euroasiatico letale per l’Occidente e anzitutto per l’Europa. Gli Usa sono una superpotenza e hanno due oceani a separarli da tutti, ma noi no, quell’ asse sarebbe minaccioso, sarebbe un problema. Inoltre un accordo certificherebbe la validità dello schema trumpiano della pace attraverso la forza. Come si possa non fare il tifo per Trump, proprio pensando al nostro futuro, ci sfugge.