Malattia radical: dibattiti deserti e libri fotocopia

· 8 Dicembre 2024


Questa settimana nella nostra rubrica “Alta tiratura”, Alessandro Gnocchi presenta alcuni libri “non manistream”, dopo aver fatto un paio di considerazioni. La prima deriva da un fatto accaduto alla kermesse “Più liberi, più libri”: in questa edizione, dedicata a Giulia Cecchettin, la direttrice del festival Chiara Valerio ha invitato il saggista Leonardo Caffo, autore di “Il pensiero selvaggio”, pubblicato da Einaudi, che però è sotto processo a causa di una denuncia per violenze domestiche. Sono seguite ovviamente polemiche, e Chiara Valerio si è difesa con parole giuste, rivendicando garantismo, dicendo che Caffo è innocente fino a prova contraria: argomento nobile, se non fosse che la sinistra è sempre garantista con i suoi e giustizialista con tutti gli altri, per cui sospettiamo che il medesimo trattamento “con i guanti” ottenuto da Caffo forse non sarebbe stato riservato a uno scrittore fuori dal giro dell’amichettismo di sinistra. 

Il fatto di cui dicevamo è che, a riparazione di questo incidente, un certo numero di sale della manifestazione è stato riservato per eventi che trattassero il tema della violenza sulle donne. Ma, a quanto sembra, questi incontri sono andati completamente deserti. Ovviamente la violenza sulle donne è inaccettabile, è un gravissimo problema. Però, dice Gnocchi, la retorica sul patriarcato, oltre che eccessiva, è un’arma a doppio taglio: le stesse persone che la esercitano, nel momento in cui è il momento di fare qualcosa, anche solo di passare alla partecipazione agli eventi pubblici, ecco, in questo passaggio per lo più i moralisti si perdono.

Un altro tema affrontato da Gnocchi è la crisi di fatturato del settore librario: i piccoli e medi editori  perdono un 5% circa delle vendite. Perdono anche i grandi editori, pochi si salvano e con percentuali inferiori all’1% di crescita. Perché? Perché la produzione italiana soffre di una malattia quasi incurabile, il conformismo. Funziona così: Io ho un libro che funziona, per esempio una saga sulla Sicilia dell’Ottocento; subito tutti gli altri editori devono avere un libro che è una saga sulla Sicilia, magari del Novecento, del Settecento, del Seicento, del Duemila. 

L’idea è che se in un settore c’è da mangiare per uno, ci sarà da mangiare probabilmente anche per due, forse anche per tre. Poi però la produzione si appiattisce, non è più interessante, e non lo è nemmeno entrare in libreria, perché i libri sono tutti uguali. Prima delle elezioni americane le librerie erano intasate da pile di libri che spiegavano perché Trump è un idiota e perché Kamala Harris è una predestinata, e il giorno dopo le elezioni sono finiti tutti al macero.

La narrativa sta anche peggio: tutti devono avere l’investigatore depresso, oppure i nonni che fanno delle indagini per conto loro, o i vecchietti al bar che risolvono i casi. E i saggi, anche quelli sono in fotocopia,  non c’è confronto fra idee differenti, il dibattito in Italia non è molto gradito: tutti sono convinti che a leggere sia solo ed esclusivamente la sinistra perbenista o più bigotta e che tutti gli altri non comprino libri, ma non è assolutamente così: gli altri se non comprano libri è perché non trovano niente di interessante…


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