Come Reagan nell’89: Trump sfida il Muro di Pechino
Giovanni Sallusti · 9 Novembre 2024
Cari ascoltatori, oggi è un grande giorno per tutti gli uomini liberi: 35 anni fa crollava il muro di Berlino e con esso quel sistema politicamente repressivo, economicamente illogico, filosoficamente aberrante che aveva sequestrato l’Europa orientale, cioè il totalitarismo sovietico. È una data dovrebbe essere considerata alla pari con il 25 aprile: ma se lo è come ricordo istituzionale, non entra mai nel dibattito culturale, perché il 25 aprile si è trasformato nella cagnara contro il fascismo inesistente di oggi, mentre si ricorda con molto meno piacere la sconfitta del totalitarismo gemello. Non dimentichiamo che nazifascismo e comunismo erano due lati della stessa medaglia.
Il crollo del Muro fu possibile anzitutto grazie all’approccio della leadership occidentale, soprattutto del presidente americano Ronald Reagan che connotò il suo mandato sulla sfida esistenziale tra il modello della libertà e il modello dell’oppressione, tra la liberal democrazia e il comunismo.
Una importante intellettuale conservatrice americana, Ann Coulter, ha scritto che il cambio di paradigma di Reagan fu molto semplice: mentre tutti gli altri presidenti prima di lui avevano pensato che l’Unione Sovietica andasse gestita e che la chiave della guerra fredda fosse il contenimento, per lui la guerra fredda andava vinta. Quando gli chiesero il suo approccio alla guerra fredda dell’Unione Sovietica, lui rispose: loro perdono, noi vinciamo. E quella che sembrava la semplificazione di un ex attore di Hollywood, divenne invece la storia concreta delle popolazioni. E il muro cominciò a venir giù, nell’estate dell’87, quando Reagan fece quel discorso straordinario davanti alla Porta di Brandeburgo: “Mr. Gorbacev abbatta questo muro”.
Mutatis mutandis, oggi Donald Trump segna un riscatto dell’Occidente in quel senso, ne abbiamo parlato ieri in radio con il direttore di Libero, Mario Sechi, la nostra conversazione è sul sito radioliberta.net da stamattina, la consiglio a tutti, perché indica una delle chiavi del fenomeno Trump che è stata ampiamente rimossa dai giornaloni. Trump ovviamente non è Reagan e le condizioni sono diverse, ma c’è un’analogia importante: anche Trump ha chiaro qual è la sfida esistenziale per il mondo libero, oggi si chiama Cina, guarda caso un altro totalitarismo comunista, e anche Trump non vuole distogliere lo sguardo, non vuole annacquare la contrapposizione valoriale tra noi e loro, tra l’Occidente e la Cina.
Questo non vuol dire che l’obiettivo sia il crollo del regime cinese (potrebbe succedere solo per questioni interne), anche perché al tempo dell’Urss le popolazioni europee dell’Est avevano una cultura cristiana e liberale da far resuscitare, mentre la sfida con la Cina è tutt’altra storia. L’analogia sta nel fatto che Donald Trump oggi, come Ronald Reagan allora, non chiude gli occhi di fronte alla minaccia e non vuole rinunciare al nostro modello – libertà individuale, libertà d’impresa, pluralismo politico – che va rivendicato nella sfida esistenziale col gigante comunista. Sì, noi abbiamo speranza nella nuova leadership americana.