Daniele Capezzone: “Ecco perché la nostra Lepanto è oggi”
Giovanni Sallusti · 5 Ottobre 2024
L’ospite di “Parlando liberaMente”, la nostra intervista con i protagonisti della politica, dell’attualità, del giornalismo, questa settimana è il direttore editoriale di Libero Daniele Capezzone, autore del libro appena uscito in libreria “Occidente: noi e loro. Contro la resa a dittatori e islamisti” (Piemme, 18 euro).
Con Capezzone il direttore di Radio Libertà ha parlato delle connessione fra i temi di politica interna e quelli di politica internazionale, e del significato simbolico della festa della Lega a Pontida, oggi e domani, una data dedicata alla battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571: una vittoria dell’Occidente, della flotta cristiana (formata in gran parte da Repubbliche e Granducati italiani) contro la minaccia Ottomana. A sinistra ci si è scandalizzati perché è stata interpretata come una dedica islamofoba, come Pontida contro l’islam, quando è anzitutto la rivendicazione dell’appartenenza a una civiltà, la nostra.
“Dall’attacco alle Torri Gemelle in poi è stato chiaro che cosa vogliono: ammazzarci e sottometterci. Si è visto anche dalla quantità di attentati in Europa che ne sono seguiti, e con le guerre in Medio oriente. Poi c’è l’altro versante, quello delle altre autocrazie non islamiste. Ma il nostro problema è il pronome che ci identifica, il “noi”. Siamo passati dalla cancel culture alla shame culture: ci vergogniamo di essere quello che siamo. La guerra santa la stanno facendo loro, ma noi vediamo il Medio Oriente come lontano, siamo freddi, non afferriamo che se vincono lì hanno più probabilità di avvelenare anche qui, e viceversa. Oggi, per dirla con Ugo la Malfa, l’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme, ma troppi fingono di non capirlo, che sia una questione locale e fanno appello alla de-escalation equiparando le parti, ignorandone la diversa natura”.
Viene alla mente lo scontro di civiltà spiegato da Samuel P. Huntington: “Lo scontro di civiltà Huntington lo temeva, non lo auspicava: invece fu aggredito come se lui, pazzo furioso, volesse menare le mani con gli islamici. Come sempre si scambia il termometro per la febbre, si tratta chi denuncia un rischio come una specie di piromane”. C’è un caso recente che lo dimostra, il ragazzo dei centri sociali che difende una donna scippata da un moldavo irregolare e viene ucciso, accoltellato. “È un eroe, ha avuto un coraggio dal leone. Che cosa dicono invece i suoi amici dei centri sociali? Che è colpa nostra, che non abbiamo integrato, non abbiamo compreso. Persino l’accoltellamento di un loro amico, un atto così brutale ed esplicito, nella sua chiarezza non vale a mostrare chi sia il nemico”.
“Oltre alla rimozione del nemico, c’è la rimozione della vittoria dell’Occidente sul comunismo, nel 1989, e di come è stata ottenuta. Ronald Reagan usò la volontà politica e la deterrenza, mostrò le armi senza usarle. L’alternativa sarebbe stata l’appeasement, cioè essere accondiscendenti con il nemico e tenerlo buono. Abbiamo già visto con Htiler che non funziona, anche se in sella a Francia e Gran Bretagna al tempo c’erano dei signori politici. Oggi l’unico che pratica la deterrenza è Donald Trump, e con efficacia. Non sarà uno che scalda i cuori con i suoi discorsi come Reagan, ma ha mostrato che il guardiano del mondo era forte, così Teheran, Mosca, Pechino, la Corea del nord, sono diventati più cauti”.
L’odierno abbaglio della nostra intelligenza, l’oikofobia, la paura e la vergogna della propria casa, ha radice proprio nella caduta del comunismo: “Dopo il 1989 non si poteva più dire che il comunismo era bello, così sono andati in cerca di surrogati anti-occidentali: il panarabismo, i regimi centro e sudamericani… L’importante è rimasto avere per nemico l’Occidente. In verità si può essere contro le cose sbagliate fatte dai governi occidentali, ma al tempo stesso ritenere che il modello occidentale vada salvato, perfezionato, corretto. Non buttare il bambino con l’acqua sporca”.
“A destra quel che si può criticare è che questa posizione valoriale va tenuta e dichiarata: l’Italia oggi ha il posizionamento geopolitico giusto, e in casa il governo in Parlamento non sbaglia un voto, né le scelte istituzionali. Ma se fai la cosa giusta devi anche dirlo, devi alzare la bandiera dei principi, senza temere un momento di impopolarità presso l’opinione pubblica, perché la storia ti darà ragione. Se scegli di non farlo, e può essere un calcolo, ti esporrai al rischio di lasciare spazio alle tesi ostili, a una semina culturale ostile, e fare la cosa giusta sarà poco alla volta più difficile”.
Franca Di 5 Ottobre 2024 alle 14:37
ottima intervista