La coscienza sporca (dem) sull’attentato a Trump
Giovanni Sallusti · 16 Settembre 2024
Cari ascoltatori, ormai siamo abituati al fatto che ogni due mesi qualcuno tenta di accoppare il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump: è diventato una specie di contrattempo, una banale tappa della campagna elettorale. Ormai è evidente che Trump è un candidato nel mirino (anche in senso letterale), è assediato: stava trascorrendo una domenica di relax al Trump International Golf Club di West Palm Beach, in Florida, quando gli agenti del Secret service hanno avvistato un uomo che da qualche centinaio di metri stava prendendo la mira con un fucile. Hanno sparato per primi, l’uomo è scappato ed è stato arrestato poco dopo: si chiama Ryan Wesley Routh, ha 58 anni, abita alle Hawaii dopo una vita in North Carolina, è molto attivo sui social dai quali si è saputo che voleva radunare combattenti per l’Ucraina, un giro di volontari afghani, ma senza avere alcun titolo o esperienza militare. Un profilo di un equilibrio mentale, diciamo, rivedibile.
Ma c’è una questione simbolica che di qua dall’Atlantico facciamo fatica a capire, che si riassume nella reazione di Trump, il quale anche questa volta ha detto: sono al sicuro, sto bene, non mi arrenderò mai. Più accadono episodi come questo, più agli occhi dell’elettorato, quello lontano dalle coste di Manhattan e di Santa Monica, Trump si presenta come il portatore della bandiera americana che resiste a tutto. La gente, insomma, si immedesima.
Un altro fattore interessante è che nei suoi deliri social l’attentatore ha scritto contro Trump che in queste elezioni è in ballo la democrazia: l’esatto ritornello che i democratici vanno ripetendo in questi mesi con la sponda garantita dai media liberal d’oltreoceano e dalle loro filiali europee, nonché italiane. In pratica esiste una cittadella della democrazia americana e poi c’è l’orco, il puzzone che la assedia, ma nessuno ricorda, o trascolora a dettaglio, che il puzzone per quattro anni ha amministrato la cittadella con ottimi risultati in economia, in politica estera, in benessere dei cittadini.
Joe Biden quando si è ritirato ha usato proprio questa chiave retorica, e anche la sua sostituta Kamala Harris, estratta dalla naftalina dopo quattro anni di insuccessi, nel dibattito in tivù ha insistito su questo ossessivo difendere la democrazia, salvare lo Stato di diritto, pur avendo di fronte un ex presidente degli Stati Uniti. Questa assurdità ha attecchito grazie alla nemica principale di ogni logica, l’ideologia, e non è un caso che fosse anche la parola d’ordine che uno sbandato ripeteva sui social. Se il racconto della candidata democratica, del partito democratico, di tutti i suoi addentellati mediatici, di tutti i suoi sponsor a partire da Oprah Winfrey, insomma se tutta questa bella gente dice di continuo che con Trump è a rischio la democrazia, può succedere che incocci in uno che ci crede e poi va a caccia di Trump armato con un AK47. Sia di là sia di qua dell’Atlantico sarebbe saggio che questi signori si ponessero qualche domanda, magari cambiassero un po’ questo racconto per cui il confronto è fra una democrazia e un orco. Ma non lo faranno.