Erano passate da poco le 20, le prime proiezioni delineavano i contorni di una débacle annunciata, e già Emmanuel Macron dichiarava che, “di fronte al Rassemblement National, è il momento di una larga unione chiaramente democratica e repubblicana per il secondo turno”. Tutto facilmente prevedibile, tutto scontato: se la politica è integrare e non emarginare, il Presidente francese si è mostrato ancora una volta il campione di quella che è la più subdola forma di antipolitica immaginabile, la tecnocratica.
È la politica del “cordone sanitario”, il cui unico fine è di mettere il silenziatore a quella domanda forte di cambiamento che gli elettori, che non hanno altra arma pacifica in mano se non quella del voto, fanno giungere da anni alle élites. Le quali non vogliono sentire; arroganti fino alla provocazione e convinte di sapere cosa è bene per i cittadini più di loro stessi, pretendono di mettere fra parentesi nientemeno che il dèmos, il fondamento ultimo della sovranità democratica dei moderni.
Ma se così è, il sospetto che viene forte è che il vero fronte repubblicano e democratico sia oggi quello del partito di Marine Le Pen e dei suoi alleati. Macron, i progressisti, le élites, i soliti intellettuali, stanno semplicemente mentendo, e forse sanno di mentire, quando si autoproclamano tali. Proviamo a ragionare in due modi diversi, cioè sia per via negativa che per via positiva. Dalla prima prospettiva, la domanda da porsi è semplice: può mai essere una coalizione “chiaramente democratica e repubblicana” quella che comprende forze, come La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che contrastano tutti i valori occidentali e chi, secondo loro, se ne fa portatore, a cominciare da Israele e dagli ebrei (il cui stereotipo antisemita di apolidi e avidi capitalisti è da quelle parti duro a morire)? Può essere “repubblicana” una coalizione di cui fanno parte forze antipatriottiche, cioè che credono che l’identità nazionale francese possa essere cancellata da un’islamizzazione sempre più massiccia e evidente in tutto il Paese?
Certo, la République è inclusiva per definizione, non chiude né ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno. Convinta nell’universalità dei “valori repubblicani”, essa ha sempre creduto che qualsiasi cittadino del mondo potesse diventare francese semplicemente aderendo ad essi: avrebbe conservato la propria specificità nella cornice di una comune e laica cittadinanza. Il fatto è che oggi gli immigrati, anche quelli di seconda e terza generazione, contestano proprio la cornice repubblicana e la laicità dello Stato. Lungi dall’integrarsi, la loro cultura pretende di sostituirsi con le sue leggi a quelle dello Stato. E, in quest’operazione, trovano una inaspettata convergenza proprio con le idee di quella gauche intellettuale che, dopo Sartre, ha preteso di decostruire e annientare tutte le categorie del pensiero occidentale, accusate indistintamente di essere oppressive e falsamente “universali”. Le forze che si appellano alla République sono quelle che ne hanno distrutto, poco alla volta, le basi culturali su cui si fondava.
Il nostro ragionamento vale anche in positivo. Il partito di Le Pen ha iniziato tanti anni fa una marcia all’interno delle istituzioni repubblicane, confermando ogni volta i suoi consensi e allargandoli sempre più. Contrariamente a quanto credeva Andreotti, il non avere il potere non ha logorato una destra che ha invece convinto sempre più francesi alla bontà delle sue tesi. E che oggi è premiata. Il tutto democraticamente. Così come democraticamente, il primo ministro in pectore Jordan Bardella ha promesso di comportarsi nel caso di una probabile coabitazione con Macron: rispettosamente nei confronti di colui che altrettanto rispetto non ha manifestato nei confronti dei lepenisti.
Quanto poi al programma di governo del Rassemblement, esso non ha un elemento che può dirsi revanscista e antidemocratico. Sarà pure il partito erede di una tradizione funesta, ma a sinistra non solo ci sono altrettanti eredi di una altrettanto funesta tradizione? Con una sola, essenziale differenza: l’eredità dei primi è solo genetica (è da un bel po’ che Marine ha “ucciso il padre” affrancandosene); quella dei secondi è viva, tanto che riaffiora spesso in comportamenti e in prese di posizione altamente ambigui. I francesi lo hanno capito. Così come hanno capito che ogni affrancamento dal passato è una vittoria per la République, non un pericolo.
L’accozzaglia di Macron contro il cambiamento è un tipico caso di antipolitica delle élite
Corrado Ocone · 1 Luglio 2024
Erano passate da poco le 20, le prime proiezioni delineavano i contorni di una débacle annunciata, e già Emmanuel Macron dichiarava che, “di fronte al Rassemblement National, è il momento di una larga unione chiaramente democratica e repubblicana per il secondo turno”. Tutto facilmente prevedibile, tutto scontato: se la politica è integrare e non emarginare, il Presidente francese si è mostrato ancora una volta il campione di quella che è la più subdola forma di antipolitica immaginabile, la tecnocratica.
È la politica del “cordone sanitario”, il cui unico fine è di mettere il silenziatore a quella domanda forte di cambiamento che gli elettori, che non hanno altra arma pacifica in mano se non quella del voto, fanno giungere da anni alle élites. Le quali non vogliono sentire; arroganti fino alla provocazione e convinte di sapere cosa è bene per i cittadini più di loro stessi, pretendono di mettere fra parentesi nientemeno che il dèmos, il fondamento ultimo della sovranità democratica dei moderni.
Ma se così è, il sospetto che viene forte è che il vero fronte repubblicano e democratico sia oggi quello del partito di Marine Le Pen e dei suoi alleati. Macron, i progressisti, le élites, i soliti intellettuali, stanno semplicemente mentendo, e forse sanno di mentire, quando si autoproclamano tali. Proviamo a ragionare in due modi diversi, cioè sia per via negativa che per via positiva. Dalla prima prospettiva, la domanda da porsi è semplice: può mai essere una coalizione “chiaramente democratica e repubblicana” quella che comprende forze, come La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che contrastano tutti i valori occidentali e chi, secondo loro, se ne fa portatore, a cominciare da Israele e dagli ebrei (il cui stereotipo antisemita di apolidi e avidi capitalisti è da quelle parti duro a morire)? Può essere “repubblicana” una coalizione di cui fanno parte forze antipatriottiche, cioè che credono che l’identità nazionale francese possa essere cancellata da un’islamizzazione sempre più massiccia e evidente in tutto il Paese?
Certo, la République è inclusiva per definizione, non chiude né ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno. Convinta nell’universalità dei “valori repubblicani”, essa ha sempre creduto che qualsiasi cittadino del mondo potesse diventare francese semplicemente aderendo ad essi: avrebbe conservato la propria specificità nella cornice di una comune e laica cittadinanza. Il fatto è che oggi gli immigrati, anche quelli di seconda e terza generazione, contestano proprio la cornice repubblicana e la laicità dello Stato. Lungi dall’integrarsi, la loro cultura pretende di sostituirsi con le sue leggi a quelle dello Stato. E, in quest’operazione, trovano una inaspettata convergenza proprio con le idee di quella gauche intellettuale che, dopo Sartre, ha preteso di decostruire e annientare tutte le categorie del pensiero occidentale, accusate indistintamente di essere oppressive e falsamente “universali”. Le forze che si appellano alla République sono quelle che ne hanno distrutto, poco alla volta, le basi culturali su cui si fondava.
Il nostro ragionamento vale anche in positivo. Il partito di Le Pen ha iniziato tanti anni fa una marcia all’interno delle istituzioni repubblicane, confermando ogni volta i suoi consensi e allargandoli sempre più. Contrariamente a quanto credeva Andreotti, il non avere il potere non ha logorato una destra che ha invece convinto sempre più francesi alla bontà delle sue tesi. E che oggi è premiata. Il tutto democraticamente. Così come democraticamente, il primo ministro in pectore Jordan Bardella ha promesso di comportarsi nel caso di una probabile coabitazione con Macron: rispettosamente nei confronti di colui che altrettanto rispetto non ha manifestato nei confronti dei lepenisti.
Quanto poi al programma di governo del Rassemblement, esso non ha un elemento che può dirsi revanscista e antidemocratico. Sarà pure il partito erede di una tradizione funesta, ma a sinistra non solo ci sono altrettanti eredi di una altrettanto funesta tradizione? Con una sola, essenziale differenza: l’eredità dei primi è solo genetica (è da un bel po’ che Marine ha “ucciso il padre” affrancandosene); quella dei secondi è viva, tanto che riaffiora spesso in comportamenti e in prese di posizione altamente ambigui. I francesi lo hanno capito. Così come hanno capito che ogni affrancamento dal passato è una vittoria per la République, non un pericolo.
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Corrado Ocone
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