Pure le canzoni natalizie non religiose: ma basta!

· 4 Dicembre 2025


Cari ascoltatori, l’ultimo episodio della tragicommedia del Natale politicamente corretto arriva da una scuola di Carate Brianza, dove è stata comunicata ai genitori la nascita di un inclusivissimo e antiallergico Natale non religioso. Un ossimoro che si candida a vetta inesplorata di questa saga woke e a spostare in là la soglia del ridicolo.

Dunque, le maestre di una scuola materna di Carate Brianza hanno spiegato per iscritto che con i loro figli avrebbero fatto una visita prenatalizia a una Rsa cittadina, in un lodevole momento di comunità e comunione inter-generazionale, chiarendo che si sarebbe trattato di un evento rigorosamente non religioso.

Queste le parole delle maestre: “Tutte le classi andranno a visitare la Rsa, porteremo in dono una canzone natalizia (non religiosa) eseguita dai bambini nello stile ‘capsong’, e al termine lasceremo un regalo realizzato dai bambini stessi”. Per chi non lo sa (tanti), la capsong è una canzone accompagnata da un ritmo di percussione suonato con un un bicchiere. Ma il punto è la dizione “canzone non religiosa”. Che esistano canzoni natalizie che non si ispirano esplicitamente alla Natività di Gesù è normale, per esempio quelle che parlano di Santa Claus o di Babbo Natale, o che si ispirano a un Natale festaiolo e, sì, anche consumista.

Però tutte le varianti delle celebrazioni natalizie esistono perché c’è questa cosa che si chiama Natale, la cui parola riporta al latino “natus”, cioè nato: e quella nascita, qualcuno lo ricorderà, ha una certa sfumatura religiosa, sembra ridicolo ribadire queste cose, ma è diventato necessario perché finiscono sempre nascoste: quel bambino che nasce va a spaccare in due la trama della storia – almeno per noi occidentali che continuiamo a contare gli anni da quel giorno – fonda una religione e con essa un universo valoriale.

È l’avventura di uno dei tre grandi monoteismi, l’unico in cui viene colmata la distanza fra terra e cielo, l’unico in cui Dio arriva a conoscere la condizione, la finitezza, la sofferenza e la morte che caratterizzano l’esperienza umana. Questo è, piaccia o no. No, non siamo inclusivi: la straordinaria avventura del Cristianesimo è un unicum, e al suo interno sono germogliate quisquilie non inclusive perché altrove non sono emerse, come la dignità intrinseca di ogni persona, il dovere della fratellanza col prossimo, non l’umanitarismo astratto. E poi quel bambino sarà anche colui che da adulto dirà “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, separando drasticamente il peccato e il reato, e anche qui non siamo inclusivi: in altre esperienze religiose, anche monoteiste, una separazione così netta non c’è.

Quindi dire “Natale non cristiano” è come dire “whiskey analcolico”, “gelato bollente”. Il Natale è tale perché è il momento fondante di una delle più grandi esperienze religiose della storia dell’umanità, religiosa nel senso lato dell’esperienza che dà un senso al mondo, che propone un significato. Non esistono canzoni natalizie rigorosamente non religiose, fatevene una ragione.


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