Su Almasri l’Anm fa politica. Avanti con la riforma!
Giovanni Sallusti · 6 Agosto 2025
Cari ascoltatori, una cosa che il caso Almasri, ormai il tormentone dell’estate, ci sta insegnando è che quando una corporazione sente attaccati i suoi privilegi pluridecennali, reagisce con tutto il peso che deriva dai suddetti privilegi per evitare che venga ripristinato un equilibrio. Il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere per i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e per il sottosegretario Alfredo Mantovano, indagati per favoreggiamento e peculato sul caso Almasri; la posizione di Giorgia Meloni era stata archiviata, con una mossa di furbizia bizantina che rivela l’intento obliquo di logorare il governo con un’azione giudiziaria lunga e strascicata. Come se la premier, ma anche il ruolo in generale, non avesse la responsabilità della sintesi politica di ogni atto del governo, figurarsi se di rilevanza internazionale.
Questo è il grimaldello che la magistratocrazia in declino sta usando con la sponda della grancassa mainstream. L’esondazione dell’ordine giudiziario nella politica è sfuggita anche di bocca al presidente dell’Associazione nazionale magistrati Cesare Parodi, intervistato dal collega di “Radio anch’io” Giorgio Zanchini: alla domanda su un possibile futuro coinvolgimento nell’inchiesta di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Nordio, Parodi ha risposto: “Un processo dove vengono accertati magari in via definitiva certi fatti ha evidentemente un ricaduta politica, neanche tanto indirettamente, sulle persone coinvolte”.
Ora, che straccio di titolo ha Parodi, per ipotizzare conseguenze politiche in un’azione giudiziaria, facendo strame del concetto di separazione dei poteri e dell’opera del barone di Montesquieu? Il capo dell’Anm dopo alcune ore di polemiche ha fatto una mezza marcia indietro dicendo di non aver nominato Bartolozzi e che il suo era un ragionamento generale. Ma è anche peggio, se il capo dei magistrati fa un ragionamento generale o di scenario o di politica, perché non è nei compiti dell’ordine che lui rappresenta: il magistrato è chiamato a ragionamenti specifici su specifiche ipotesi di reato, riferite a specifiche persone indagate e o imputate. L’essenza dell’azione giudiziaria è la specificità, non fare ragionamenti generali, peggio se politici.
Si torna quindi alla reazione di cui parlavamo: è sicuramente vero, come hanno scritto oggi alcuni giornali di centrodestra, che il polverone Almasri è l’unica vera spallata che può essere tentata contro questo governo, vista l’inesistenza dell’opposizione politica. Però c’è anche uno specifico intento, relativo al fatto che questo governo sta procedendo seriamente con una riforma della giustizia che tocca i gangli di una corporazione beneficiaria di privilegi ingiustificati: i primi due passi sono il passaggio in Senato sulla separazione delle carriere e il Csm non più egemonizzato dalle correnti, ma determinato con un sorteggio.
La reazione della corporazione con il polverone Almasri ci dice che non esistono riforme a metà e che il centrodestra ora deve andare fino in fondo, come ha ventilato ministro Nordio, aggiungendo la responsabilità civile dei magistrati, misura seria e degna di un Paese civile e liberale: la magistratura è l’unica corporazione i cui soggetti non sono chiamati a rispondere di propri errori, per colpa o per dolo. E non solo Nordio o Piantedosi potrebbero invocarla (ipotizzare un processo a loro carico per una decisione politica è una follia), ogni singolo cittadino oggetto potrebbe contestare un torto subìto da parte della corporazione. Inoltre bisogna ratificare la non appellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado, come insegna il diritto anglosassone.
Ecco, la conclusione è questa: ora è d’obbligo andare fino in fondo con la riforma: lo dimostrano gli esponenti della magistratocrazia con i loro atti, con le loro parole, con i loro scivoloni linguistici, insomma con quell’approccio alla politica, che trattano come se fosse il loro giardino di casa. Non lo è.