Non chiamateli progressisti, se stanno con gli ayatollah

· 18 Giugno 2025


Cari ascoltatori, il presidente americano Donald Trump ha parlato di nuovo e ha detto cose salienti a proposito della guerra tra Israele e Iran e del suo ventilato, imminente impegno militare, non in difesa di Tel Aviv attaccata dai missili, che è già in essere, ma diretto all’attacco. Ebbene, Trump ha detto che il tempo per l’Iran è scaduto, che poteva negoziare nelle settimane scorse, ma adesso può solo arrendersi perché non potrà mai avere l’arma nucleare (che Teheran il giorno dopo userebbe per cancellare Israele).

Quando gli hanno fatto notare che Khamenei non ha alcuna intenzione di arrendersi, ha risposto “gli auguro buona fortuna”. Poi ha detto di aver sentito Netanyahu e di averlo invitato ad andare avanti. E intanto sarebbero stati avvistati dei bombardieri B2 americani diretti verso l’Oceano indiano, quelli che trasportano le bombe in grado di smantellare il sito nucleare di Fordow, armi che solo gli Stati Uniti hanno a disposizione.

Trump dunque resta focalizzato sull’imperativo che gli ayatollah non possono avere l’atomica. E ha detto una cosa, rispondendo ai giornalisti, che tocca anche l’ambiguità di atteggiamenti che abbiamo registrato nella sinistra di casa nostra: “Conosco molte persone provenienti dall’Iran, di New York, di Washington, soprattutto di New York: sono persone incredibili, intelligenti, energiche, fantastiche e queste persone vengono massacrate di botte, è una vergogna, è così stupido”: con il suo tipico linguaggio semplificato ha snidato un “non detto” clamoroso nel nostro dibattito, che riguarda il popolo iraniano, la sua legittima e sacrosanta aspirazione alla libertà, l’oppressione cui è sottoposto da questi criminali, i gerarchi della teocrazia totalitaria: è così che dobbiamo chiamare costoro, perché l’Iran culturalmente, storicamente, e potenzialmente, è tutt’altra roba.

Il popolo iraniano è il grande assente nel dibattito italiano, in tutto il caravanserraglio cosiddetto progressista, politico, mediatico, intellettuale: non si soffermano neanche un secondo a ricordare che, al netto di tutte le critiche che possono voler fare a Israele e a Netanyahu, sarebbe un bene per tutti che cadesse, questo regime totalitario e islamista che opprime la sua popolazione con ferocia bestiale. E invece Elly Schlein convoca le piazze contro il fantomatico genocidio attuato da Israele, contro l’escalation bellica mossa da questa bizzarra idea di impedire che chi ti vuole cancellare abbia l’atomica; e non spende mai una parola sul velo integrale, sulla polizia morale, sulla repressione dei dissidenti, che sarebbero battaglie progressiste per eccellenza. E figurarsi se fa diversamente Giuseppe Conte, che quanto a eccesso di zelo filopalestinese supera anche i palestinesi.

Inutile segnalare che nei talk, nei dibattiti, sui giornaloni, tutti gli opinionisti variamente progressisti non spendono una sillaba su che cos’è il regime iraniano che spacca la testa alle donne se non mettono il velo o se lo mettono male, che impicca pubblicamente gli omosessuali in quanto omosessuali, che manda per le strade la polizia morale a verificare che il vestiario e i comportamenti siano islamicamente corretti, la quale polizia può impunemente sequestrare chiunque e farlo sparire nelle carceri del regime; non una parola sul fatto che in Iran vige la sharia, che la legge coincide col dettato religioso nella sua versione fondamentalista. Anche queste sarebbero tutte battaglie letteralmente progressiste, sulla quali però lorsignori non dicono niente e invece lo fa Trump. Ma allora non chiamateli più progressisti: perché volontariamente o meno, inconsciamente o meno, sono alleati dei peggiori oscurantisti.


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