Egitto-Iran ai mondiali partita dell’orgoglio gay!
Giovanni Sallusti · 10 Dicembre 2025
Cari ascoltatori, l’ultima trovata del non-pensiero woke ha sfondato di nuovo il muro della logica, ha trucidato il principio di non contraddizione, ci lancia in mondi non conosciuti, men che meno immaginabili, sentite qui. Ai mondiali di calcio del 2026, che si terranno in America del Nord dall’11 giugno al 19 luglio, è prevista un’iniziativa chiamata Pride match, cioè una partita di calcio dedicata a promuovere l’orgoglio omosessuale e i diritti arcobaleno.
È prevista a Seattle alla vigilia dell’anniversario dei moti di Stonewall – avvenuti il 27 giugno 1969 a New York – considerati il momento in cui è nato il movimento di liberazione omosessuale. E dal sorteggio quali squadre sono saltate fuori, per questo match dell’orgoglio arcobaleno? Egitto e Iran! Cioè due due Paesi dove tutto ciò che è omosessuale è perseguitato, considerato crimine dalla legge, nel caso dell’Iran dalla sharia.
Alla radice di questa follia c’è l’abbaglio woke, cui la Fifa aderisce ai più alti livelli, secondo il quale è scontato che esista una melassa interculturale, multiculturale, per cui chiunque condividerà i diritti civili e individuali nati e germogliati in Occidente, a partire dall’inviolabilità intrinseca della persona fino alla caricatura che ne fa l’iperdirittismo woke. Il punto è che non è vero: questo cosmo valoriale non coincide con il cosmo tutto, ed è falso che le culture siano tutte commensurabili, interscambiabili, indistinguibili.
In Egitto non è formalmente reato essere omosessuali in Egitto, ma sono costretti lo stesso a vivere nascosti, perché a perseguitarli penalmente è tutta una serie di escamotage legislativi, tra cui la legge sulla depravazione. Questa legge è formulata in modo volutamente vago e ambiguo, strumentale, e stabilisce che gli omosessuali sono perseguibili per la pratica della depravazione, con una pena che può arrivare a 17 anni di carcere con o senza lavori forzati, a seconda della benevolenza del giudice. Nella vita quotidiana, episodi di discriminazione e di violenza, anche familiare, sono all’ordine del giorno.
E l’Iran? Gli omosessuali in Iran, non c’è neanche bisogno di ricordarlo, sono perseguitati, rinchiusi nelle orribili carceri iraniane, torturati, impiccati ed esposti in pubblico. È un reato penale secondo la legge islamica, scritta dagli ayatollah fin dalla rivoluzione del 1979, tra l’altro una rivoluzione al tempo applaudita dall’élite intellettuale europea. Abbiamo scelto una fra le tante dichiarazioni in merito dell’ayatollah Khamenei e dei suoi tagliagole a supporto: “Il caos sessuale continua oggi nei Paesi occidentali, dove ci sono gravi vizi morali come l’omosessualità, che sono troppo vergognosi perché se ne possa anche solo parlare”. Probabilmente mentre Khamenei parlava, degli omosessuali venivano impiccati perché considerati individui non degni, la cui vita non è sacra, anzi è da sopprimere perché secondo la sharia è sbagliata in sé.
Di fronte a tutto questo, pare che la Fifa abbia intenzione di tirare dritto lo stesso. Secondo la sindaca democratica della iper-dem Seattle, Katie Wilson, “possiamo mostrare al mondo che a Seattle sono tutti benvenuti”. Facile, in America: il problema è gli omosessuali che non sono benvenuti Egitto, tantomeno in Iran, dove vige una teocrazia islamista, assassina e omofoba. Ma se lorsignori non capiscono nemmeno questo, devono essere davvero alla frutta, è l’unica buona notizia…
