La famiglia nel bosco no, i bimbi nei campi rom sì: ipocriti!
Giovanni Sallusti · 24 Novembre 2025
Cari ascoltatori, nella vicenda della “famiglia nel bosco” a Palmoli, in provincia di Chieti, è in ballo l’essenza l’essenza della nostra civiltà: viviamo in uno Stato liberale e di diritto, o in uno Stato autoritario? La cartina al tornasole è l’approccio ai minori, ai figli dei cittadini.
In uno Stato autoritario, o peggio totalitario, i figli sono anzitutto proprietà dello Stato; in uno Stato liberale e di diritto i figli sono anzitutto parte di un nucleo familiare da tutelare. È una distinzione che sta all’origine del pensiero occidentale, la si trova nella contrapposizione tra Platone e Aristotele, ha segnato tutta la riflessione filosofica e politica della nostra civiltà.
In uno Stato di diritto i figli non sono di proprietà dello Stato e da qui non possiamo muoverci, altrimenti precipitiamo in un contesto distopico in cui un mega-stato sovrintende a tutto, incluse le decisioni sui tuoi figli. Non importa se vivere in un bosco con tutta la famiglia non sarebbe mai la nostra scelta: due genitori hanno il diritto di perseguire lo stile di vita che vogliono e di conferire l’educazione che ritengono ai figli, ovviamente se non commettono reati o danneggiano la libertà altrui.
Ci chiediamo dove siano gli estremi, per i magistrati de L’Aquila, per dividere questa famiglia con due gemelli di sei anni e un bambino di otto. In questi giorni abbiamo sentito interviste al padre, è una persona colta, è stato un imprenditore, uno chef di livello, che ha detto “non sono pazzo, conosco i miei diritti, vogliamo vivere come vivevano i nostri nonni, vogliamo far vivere i nostri figli in un contesto naturale”. Ci sfugge dove sia il cattivo padre o il cattivo cittadino, in questa idea di perseguire un libero stile di vita.
Ma pensateci: ogni giorno si magnifica il gretinismo e la dismissione della civiltà industriale che danneggia la natura, e quando una famiglia persegue questo stile di vita, le danno addosso e le sequestrano i figli. Peggio ancora: in questi giorni per difendere la decisione dei colleghi de L’Aquila è scesa in campo l’Associazione nazionale magistrati – ormai un ente politico a tutti gli effetti, promuove la campagna per il no al referendum sulla giustizia – sostenendo che l’atto del Tribunale “si fonda su valutazioni tecniche e su elementi oggettivi, sicurezza, condizioni sanitarie, accesso alla socialità e obbligo scolastico”. Ma ci prendete in giro? Pensate alla situazione nei campi rom sparsi nel Paese, soprattutto nelle periferie delle grandi città: dove stanno il livello di sicurezza, le condizioni sanitarie, l’accesso alla socialità e l’obbligo scolastico? I bambini rom vivono in situazioni igieniche drammatiche, secondo i dati Eurostat in Europa il 75% di loro non va a scuola, sono obbligati a mendicare, sono usati come strumenti inconsapevoli di delinquenza, sono soggetti spesso a violenze. E pensiamo allora anche alle tante enclave nelle comunità islamiche, dove non solo non è assicurata un’educazione con canoni occidentali, ma le bambine sono costrette al velo, sono picchiate e segregate in casa se chiedono di vivere all’occidentale, o addirittura uccise (ricordate Saman? E non solo lei).
Ma i femminicidi islamisti tirano poco nella pubblicistica mainstream, men che meno si sono mai visti giudici togliere bambini alle comunità rom o alle famiglie musulmane che hanno quest’idea della donna e dell’educazione dei figli. Né si sono visti giudici intervenire in recenti casi di cronaca: il bambino di Trieste sgozzato dalla madre nonostante il padre avesse lanciato vari allarmi, diceva badate che è violenta, che è pericolosa; la stessa madre aveva dato segnali, c’erano elementi oggettivi di instabilità. Nessun giudice si è fatto avanti e alla fine la madre ha sgozzato suo figlio.
Ecco il doppiopesismo. È evidente ed è clamoroso quando si accaniscono su questa famiglia che persegue uno stile di vita differente, che sembra strano. Noi non lo condividiamo, ma quelle persone hanno il diritto di fare come vogliono. E intanto gli occhi restano chiusi sui campi rom, sulle comunità islamiche, sui veri casi di violenza, sugli infanticidi che si potevano evitare. Diremmo ancora una volta che siamo un Paese da operetta, se solo non fosse così tragico.
