Hamas ci prova ancora, ma è finito. Ditelo all’Albanese
Giovanni Sallusti · 29 Ottobre 2025
Cari ascoltatori, non c’era affatto bisogno di un’altra conferma, ma la cronaca di queste ore ha mostrato di nuovo qual è l’unico fattore che ha sempre impedito la pace in Medio Oriente e che rende tuttora complesso il passaggio dalla tregua, ottenuta sostanzialmente grazie all’azione di Donald Trump, a una pace stabile. Quest’unico fattore è Hamas, perché gli scontri delle scorse ore (il cessate il fuoco è già stato ripristinato), solo secondo i guru pro-pal sono da addebitare a Israele: la guru-capo, Francesca Albanese, ieri sera delirava a “Di martedì”, ovviamente senza contraddittorio, dicendo che Israele aveva ripreso l’iniziativa bellica perché mira al genocidio e a prendersi la terra, la solita teoria da ripetere a prescindere da quel che succede davvero.
E la realtà sul campo è che la tregua è stata rotta, almeno temporaneamente, da Hamas, dalle sue provocazioni. A partire da una barbarie inimmaginabile: ha consegnato i resti di un ostaggio il cui corpo in realtà era già stato restituito, violando il rispetto minimo che esiste in ogni guerra, quello nei confronti dei defunti, del dolore delle famiglie. D’altronde questo è, un movimento terroristico nazi-islamico che punta la distruzione dello Stato degli ebrei per statuto, checché ne dica l’Albanese, che lo presenta come fosse una ong arcobaleno. Non solo: Hamas ha attaccato un contingente israeliano a Rafah, nel sud della striscia, uccidendo un soldato. E Israele ha reagito, rispettando l’accordo firmato, che prevede la possibilità di rispondere a provocazioni e a una rottura della tregua.
Trump ha confermato che reagire era diritto di Israele e anche che questo accadimento non metterà a rischio il cessate il fuoco, che è una regola più solida delle singole provocazioni: “Hamas rappresenta solo una piccola parte della pace in Medio Oriente e deve comportarsi di conseguenza”, cioè il ridisegno dell’area può avvenire con il coinvolgimento di tutte le potenze sunnite del Golfo e oltre, tipo la Turchia e l’Indonesia: un’operazione epocale che ha messo al tavolo attori diversi, alcuni dei quali fino a poco tempo fa rivali. In uno scenario di cui è una piccolissima parte, dice Trump, Hamas deve capire che queste provocazioni, per quanto insopportabili, non sono in grado di scalfire ciò che è stato conquistato, perché “se dovessimo, elimineremmo Hamas molto facilmente, e sarebbe la sua fine”.
Insomma, questa mattina abbiamo chiarito due cose: la minaccia alla pace in Medio Oriente è ancora costituita da quel che resta di questa banda di terroristi nazi-islamici; ma questa banda non può dare le carte, perché alla peggio a farla finita con Hamas ci penseranno le potenze del Golfo, che hanno tutto l’interesse ad avere una parte importante nella ricostruzione di Gaza. Per cui i terroristi sono di fronte a un bivio: possono continuare su questa strada e prima o poi innescare una reazione definitiva; oppure possono adeguarsi e mettere in salvo le vite dei loro caporioni, finché sono in tempo. Di certo altro Hamas non può fare.
