Non cortei ma diplomazia e affari: così si salva Gaza
Marco Tognini · 23 Ottobre 2025
Nella nostra nuova rubrica “Sic et non”, Marco Tognini presenta e analizza i temi politici della settimana, nazionali e internazionali: tra gli altri temi Tognini analizza come i vituperati accordi (anche) d’affari che Donald Trump ha stipulato con gli Stati arabi, nella cornice della pace in Medio Oriente, abbiano determinato la tregua tra Israele e Palestina.
La pace a Gaza è stata trovata soprattutto grazie a una diplomazia di tipo economico: gli affari hanno messo in soffitta le divergenze e hanno convinto i Paesi del Golfo e del Medio Oriente, precedentemente restii a garantire accordi di pace e anche ad accogliere i loro fratelli palestinesi. Alla fine quando si è trattato di ricostruzione e di impiego di fondi, questi attori sono entrati in campo. Quindi, niente cortei, né flotte né azioni dimostrative hanno avuto un ruolo, bensì la stabilizzazione dell’area è la chiave del successo di Trump – che ha portato la sua natura di imprenditore – che ha portato al cessate il fuoco.
Stefano Graziosi, su Panorama, spiega come lo storico accordo tra Israele e Hamas firmato a Sharm el-Sheikh abbia rappresentato un successo diplomatico di prim’ordine per Trump. Il presidente degli Stati Uniti d’America non ha riscosso soltanto l’apprezzamento dello Stato ebraico, ma ha ricevuto parole di gratitudine anche dal sindaco di Gaza City, Yahya al Sarraj. Ringraziamenti a The Donald sono arrivati addirittura dall’autorità nazionale palestinese e perfino da un alto esponente di Hamas come Yalda Hakim. Insomma, per quanto la situazione complessiva resti delicata, il tycoon è riuscito nell’impresa di portare al tavolo israeliani e palestinesi, senza trascurare il sostegno che la Casa Bianca ha ricevuto dalla Turchia e dai Paesi arabi, a partire da Qatar e Egitto.
Differentemente dal suo predecessore Joe Biden, l’attuale inquilino della Casa Bianca ha attuato una linea dura nei confronti dell’Iran: non solo ripristinando la politica della massima pressione sugli ayatollah, ma anche bombardando i loro siti nucleari. Senza dimenticare che tra aprile e maggio aveva tentato di raggiungere con Teheran un accordo sull’energia atomica. Trump ha così raggiunto due obiettivi: ha indebolito Hamas, che è uno dei principali percettori di finanziamenti proprio dall’Iran, e ha rassicurato sia Israele sia l’Arabia Saudita.
Allo stesso tempo ha evitato di schiacciarsi sulle posizioni di Netanyahu, pur appoggiando Gerusalemme, ha garantito al Qatar un rafforzamento dei rapporti nel settore della difesa e ha significativamente consolidato le proprie relazioni con Riyad. Infine il presidente Usa ha costruito anche un rapporto con Erdogan, allentando le sanzioni al regime filoturco di Damasco, ancora vicino al fondamentalismo. Il tutto ha il fulcro nella promessa della ricostruzione a Gaza, intorno alla quale ruotano interessi economici e geopolitici importantissimi: ad esempio il cosiddetto “Leviathan”, uno dei più grandi giacimenti di gas, che si trova davanti alle coste israeliane.
