Ipocriti, il lamento delle banche “non si può sentire”!
Giovanni Sallusti · 20 Ottobre 2025
Cari ascoltatori, ha mille volte ragione Matteo Salvini quando dice che “le banche che si lamentano è una roba che non si può sentire”: non c’è definizione migliore, a prescindere dalle sfumature politiche. Non si può sentire per chi ha vissuto la cronaca italiana degli ultimi lustri, soprattutto quando al governo c’erano banchieri o figure di spicco vicine al mondo bancario sostenute dal Pd, magari senza essere passate dal voto degli italiani.
Il punto è che il vicepremier Matteo Salvini è intervenuto al XVI Forum nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio e ha difeso e rivendicato la ratio di uno dei provvedimenti chiave in manovra, oltre la pace fiscale e l’operazione Irpef sul ceto medio (che sono misure liberali, di puro controdestra). Dunque, Salvini ha detto che “le banche devono pagare 5 miliardi, e se si lamentano saranno 6-7, perché è una roba che non si può sentire, tutti possono piangere tranne le banche italiane. Il fatto che le banche che stanno facendo utili da decine di miliardi possano dare un piccolo contributo di questi utili a fine anno per aiutare il consumo interno, il reddito di famiglie e imprese, mi sembra utile”.
Ha ragione, anche perché sulla vicenda banche si aggira una quantità di ipocrisia fuori controllo. Gli istituti di credito hanno realizzato mega-profitti, ma non come potrebbero aver fatto aziende private, cioè grazie una dinamica virtuosa di mercato, di successo: in quel caso sarebbe sbagliato pretendere un solo euro in più di quanto già previsto. Ma le banche italiane negli ultimi anni hanno stra-guadagnato ogni volta che la signora Christine Lagarde, nel suo ufficio elegante di Bruxelles, ha deciso di alzare i tassi di interesse: quindi senza alcun merito e senza un ruolo attivo, ma semplicemente raccogliendo la cascata di miliardi che è discesa da un provvedimento dirigista.
Tant’è che la differenza tra gli interessi che le banche corrispondono ai correntisti e gli interessi che richiedono è cresciuta fino a essere moralmente indifendibile, un delta arbitrario che con il mercato nulla ha a che fare. Le banche sono forse il soggetto che ha più beneficiato dell’azione improntata dal governo sulla tenuta dei conti, anzitutto grazie al ministro Giancarlo Giorgetti, e hanno goduto del salto in avanti nel gradimento dell’Italia presso le agenzie di rating, un netto miglioramento rispetto a quando c’erano i presunti sapienti. Inoltre lo spread è sceso a livelli che non si vedevano dal 2010 e tutti i fondamentali macroeconomici sono cresciuti. Le banche hanno tratto vantaggio anche della stabilità dell’esecutivo che, per gli investitori soprattutto esteri e per i grandi capitali, è un valore.
Quindi fanno ridere i cosiddetti liberali in difesa delle banche, non siamo sul terreno di Adam Smith: sono aziende anomale che hanno fatto profitti anomali non figli del mercato. E se il decisore pubblico ha generato dei vantaggi, non è che quando prende decisioni meno gradite diventa invadente: se ho incassato dei pro, posso avere anche dei contro in un momento storico in cui si manifestano delle priorità. E la priorità, dice ancora Salvini, è sgravare e sostenere ulteriormente il ceto medio e le famiglie italiane chiedendo un mini sacrificio a chi ha fatto mega-profitti non figli del mercato. Non solo: se i liberali in difesa delle banche fanno ridere, la sinistra in difesa delle banche fa riderissimo: però è molto coerente, perché da decenni il suo luogo di riferimento non è più la fabbrica, ma proprio le grandi istituzioni finanziarie e tecnocratiche.
Ripetiamo: le banche che si lamentano è una roba che non si può sentire: avanti tutta!