Progressisti contro il progresso (e Salvini)

· 7 Agosto 2025


Cari ascoltatori, siamo di fronte all’ennesima (abbiamo perso il conto) puntata della saga “progressisti contro il progresso”, tratto saliente e comune della schizofrenia valoriale presso le sinistre contemporanee, in particolare quelle di casa nostra. Che si sta esprimendo doppiamente sulla vicenda della partenza ufficiale del Ponte sullo stretto di Messina, un’idea urbanistica (anzi, geopolitica in senso letterale) che unisce territori e rilancia economie, che si realizza oggi dopo esser stata improduttivamente pensata per almeno 50 anni (secondo alcuni resoconti risalirebbe addirittura ai Borboni).

Stiamo parlando del ponte a campata unica più lungo al mondo, 3,3 km, in grado di resistere a un sisma di magnitudo 7.1, con tre corsie per senso di marcia e due binari ferroviari, le stime parlano di 200 treni al giorno e 6 mila veicoli ogni ora: un’esplosione di modernità in un territorio bellissimo ma troppo spesso relegato ai margini. E soprattutto 13,7 miliardi di euro verranno immessi nel circuito dell’economia reale, tra posti di lavoro, stipendi, indotto generato con relativi altri posti di lavoro.

Qual è il problema delle anime belle? Che a realizzare l’opera è un governo di centrodestra, e con ministro competente Matteo Salvini, per la quale si è speso in prima persona con tutto il suo peso politico. Questa cosa lorsignori non la sopportano, e la follia è che a opporsi son proprio quelli che sventolano la bandiera del progresso: il Pd e i suoi addentellati di sinistra (anche se ormai è il Pd di Elly Schlein a essere un addentellato della sinistra di Fratoianni e Bonelli) parlano di progetto folle e colossale spreco, detto fra l’altro da una parte che per tradizione maneggia con disinvoltura la leva della spesa pubblica, spesso per tornaconto elettorale e soprattutto in quei territori. Immaginiamo che lo sfornatore compulsivo di esposti Angelo Bonelli sia già pronto con le carte bollate contro ogni singolo segmento del progetto; e che tutte le sigle del talebanesimo ambientalista siano sulla linea di partenza per inondare di ricorsi il Tar (in questa penisola si ha la convinzione che il Tar debba avere l’ultima parola su progetti di visione politica). La Cgil fa anche peggio: il sindacato che non può per sua natura essere avverso a una pioggia di posti di lavoro, a un palese salto nello sviluppo di territori che ne hanno bisogno, è pronto a sottoporre alla Commissione europea un manifesto per chiedere di stoppare i lavori. Neanche si capisce in base a che cosa la Commissione europea potrebbe arrogarsi il diritto di fermare una maxi-opera prevista nel programma elettorale della coalizione di governo che ha avuto l’ok della maggioranza degli elettori.

Allora, forse è il momento di archiviare l’equivoca parola “progressista”: lo diciamo vedendo muoversi la macchina del calidoscopico, variegato fronte del no a tutto, soprattutto se si tratta di grandi opere, peggio se portate avanti dal centrodestra, peggio ancora se con firma Lega. Tutti costoro da decenni ci incantano con la tiritera meridionalista del territorio abbandonato, condannato al sottosviluppo, al disequilibrio, al gap infrastrutturale. Però appena succede qualcosa, tipo una grande opera, che può accorciare decisamente questo gap su più fronti, lanciare quel territorio nella modernità, lorsignori si rivoltano, non la vogliono. Questi falsi amici del Sud sono gli stessi che hanno storicamente accusato la Lega di condannare il meridione al sottosviluppo, non capendo che la Lega è nata contestando proprio il centralismo che ha condannato il Mezzogiorno al sottosviluppo.

Archiviamo dunque la parola progressisti e il dualismo equivoco, novecentesco, progressisti-conservatori. Oggi la contrapposizione è fronte del no – fronte del sì, fra chi è per lo sviluppo, il benessere, la ricchezza, l’avanzamento dei territori, il lavoro, la dinamica della contemporaneità, e chi invece è per la paralisi ideologica e le sue turbe. E in queste ore è evidente chi, come sua stella polare, ha lo sviluppo…


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