L’Italia sta con l’America e riporta l’Europa in Occidente: ciao ciao al “partito cinese” “

· 17 Aprile 2025


Non solo l’Italia sta in Occidente, con gran scorno del Partito Cinese così incistato nel piccolo establishment domestico e così alacremente indaffarato a capovolgere la bussola geopolitica, che è sempre (anche) valoriale. C’è di più: l’Italia sta nella fetta di mondo che le è propria in prima fila, da “miglior alleato degli Stati Uniti”, copyright del 47esimo presidente d’Oltreocano.

È, con sintesi serale, il senso dell’incontro alla Casa Bianca tra la premier Giorgia Meloni e Donald Trump. Tutto meno che formale, visto che Meloni fa proprio il lessico trumpiano, il cuore stesso della sua simbologia: “Renderemo l’Occidente di nuovo grande”. Anzitutto, condividendo la pars destruens, la premessa che permette di non sbaraccare una civiltà, e che la presidente del Consiglio lega alla radice stessa del rapporto tra Italia e America: “Oggi, 17 aprile, è l’anniversario dell’accordo che permise a Cristoforo Colombo di fare il suo viaggio. Questo per ricordare che condividiamo un’altra lotta, contro l’ideologia woke che voglio cancellare dalla storia”. Cancellare l’ideologia della Cancellazione, ecco una formidabile parola d’ordine liberal-conservatice, anche rispetto a certi residui politicamente corretti che si aggirano nel Vecchio Continente (forse anche questo intende Trump, quando afferma entusiasticamente che “Giorgia Meloni ha preso d’assalto l’Europa”).

Poi c’è la ciccia dei dossier, ovviamente. I dazi, anzitutto, che vuol dire molto di più, vuol dire affrontare uno squilibrio commerciale endemico, troppo endemico tra partner. “Credo nell’unità dell’Occidente, dobbiamo semplicemente parlare e arrivare a dei risultati, e trovarci nel miglior punto intermedio per crescere insieme”: il mantra meloniano è “incontrarsi a metà strada”. Cioè, molto meno banalmente di quel che sembra, stare nel Deal, nel formato negoziale trumpiano. E infatti The Donald scandisce, per la prima volta in modo inequivocabile, che “si raggiungerà al 100% un accordo equo con l’Unione Europea” sulle tariffe commerciali (questo è purissimo risultato della Meloni mediatrice, ruolo che né la Francia, né la Germania, né alcun loro satellite riescono a giocare).

A ruota, la notizia che Trump (e forse ancor più il vice J.D. Vance e il capo del Pentagono Pete Hegseth, che sono lì con lui) si aspetta: “L’Italia si presenta al prossimo vertice della Nato annunciando di aver aumentato le spese al 2% del Pil, come richiesto”. Che, in realtà, è anzitutto e ovviamente un’ottima notizia per la difesa e la sicurezza italiana, oltre che la dimostrazione che quella di un centrodestra diviso sul tema era narrazione di pessima qualità (sì all’aumento dello sforzo per la Nato, no alla distopia dell’esercito europeo, ripete da giorni in primis Matteo Salvini).

C’è anche, indubitabile, il colpaccio diplomatico: il presidente, riferisce Meloni, “ha accettato l’invito per una visita ufficiale a Roma nel prossimo futuro”, durante le quale “considererà se incontrare” anche i capi di Stato europei e i vertici Ue. È la seria candidatura di Roma a perno dell’asse transatlantico, quasi un’investitura reiterata da parte di Trump: “Il nostro rapporto è ottimo, l’Italia è uno dei nostri più stretti alleati non solo in Europa”. È la “totale sintonia” di cui parla anche la nota emessa in serata da Salvini, una sintonia che ritorna in molteplici snodi nel colloquio di Washington, dalla fermezza di fronte all’immigrazione clandestina (“in Europa le cose stanno cambiando grazie all’Italia”, dice la premier) alla bandiera dell’identità occidentale da re-issare contro i relativismi woke fino ai temi futuribili cari a Elon Musk, la nuova corsa allo spazio in primis (“abbiamo parlato di difesa, di spazio, lavoreremo insieme per le missioni su Marte”).

Infine, Giorgia Meloni e il governo italiano calano l’asso: “L’Italia dovrà aumentare le importazioni energetiche, le imprese italiane investiranno 10 miliardi”, un rilancio sul gas a stelle e strisce che è anche un bilanciamento dell’avanzo commerciale, puro spartito trumpiano. Ma anche palese interesse strategico nazionale, oltre che schiaffo a quel Putin che è amico di Trump solo nella (scadente) pubblicistica nostrana. La stessa che, siamo pronti a scommettere, fingerà di non vedere l’elefante nella stanza globale: l’Italia al centro della nuova dinamica d’Occidente, in posizione di “very special relationship” con gli Stati Uniti, interlocutore privilegiato della più grande democrazia del mondo nel Continente che la democrazia l’ha inventata. Saluti al Dragone.


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