Macché ritirata, con Trump torna il sogno americano

· 5 Marzo 2025


Cari ascoltatori, il messaggio del discorso che Donald Trump ha tenuto stanotte al Congresso ha nuovamente distrutto la caricatura che ne fanno i suoi critici di gretto immobiliarista dedito al “qui e ora”. Con le sue parole, ieri Trump ha espresso una grande rivendicazione valoriale: il sogno americano. È stato un discorso, fatte le debite differenze di tempi, di stile e di lessico, di spirito reaganiano, di grande speranza, di apertura al futuro: “Torno in questo luogo stanotte per annunciare che lo slancio dell’America è tornato, il nostro spirito è tornato, il nostro orgoglio è tornato, la nostra fiducia è tornata e il sogno americano rinasce, più grande e migliore che mai, il sogno americano è inarrestabile, il nostro Paese è sull’orlo di un ritorno di cui il mondo non è mai stato testimone”.

Rivendicare il sogno americano vuole dire rivendicare l’eccezionalità dell’America e in questo senso anche una frattura con il Vecchio mondo, anche con l’Europa: è rivendicare il sogno dei padri fondatori che nel Nuovo mondo vedono la libertà, seguono il mito della frontiera, del Paese dei liberi e dei coraggiosi, rivendicano il diritto al perseguimento della felicità scolpito nella Dichiarazione di indipendenza, unico documento politico-istituzionale al mondo in cui è scritto espressamente, a fondazione dell’anomalia americana. Il ritorno del sogno americano rivendicato da Trump significa però anche la sua proiezione nel mondo, la presenza globale dell’America. Non è una vocazione imperialista, che Trump crede sia contro gli interessi degli Usa, né un’ideologia esportatrice del sogno, che in quanto anomalia non è esportabile; è una presenza che presidia gli interessi americani e gli interessi che questi valori esprimono nel mondo.

In quest’ottica Trump ha ribadito la questione di Panama, ricordando che la sua costruzione è avvenuta al costo di migliaia di vite americane, certo non per poi regalarlo alla Cina: e infatti negli stessi minuti è uscita la notizia che il fondo BlackRock ha acquistato due delle più importanti infrastrutture portuali di Panama che erano di proprietà cinese. E, così come (in linea con la dottrina Monroe) giudica inaccettabile che uno snodo del continente americano come il canale di Panama sia in mano cinese, Trump ha ribadito la sua intenzione di incentivare la presenza americana in Groenlandia e perfino di prendersela, con questo dicendo quella rotta non può essere appannaggio delle navi russe e cinesi, perché il sogno americano si afferma anche col dominio dei mari.

Trump ha parlato ovviamente anche di Ucraina e Russia: ha detto di aver ricevuto forti segnali dalla Russia che è pronta per la pace (non è banale, nei quattro anni di Biden non c’è stato un minimo segnale di questo genere) e di aver ricevuto una lettera da Zelensky, anche lui pronto alla pace. Trump ha anche rilevato l’ipocrisia europea che oggi vorrebbe armarsi contro la minaccia russa, dicendo: non voglio lezioni da voi, gli Stati Uniti hanno inviato centinaia miliardi di dollari per sostenere la difesa dell’Ucraina, e nel frattempo l’Europa ha speso più soldi per acquistare petrolio e gas russi di quanti ne abbia spesi per difendere l’Ucraina. Trump ha infine rivendicato infine la politica dei dazi e ha ribadito che l’America non è più un Paese ostaggio dell’ideologia woke e che il politicamente corretto è finito.

L’America di Trump, al contrario della vulgata che la dipinge come in ritirata, è un Paese che vuole riaffermare se stesso al suo interno e presidiare all’esterno i valori che esprime: un’ottima notizia per gli uomini liberi.


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