Neppure i modesti moderati si meritano Beppe Sala
Giovanni Sallusti · 4 Marzo 2025
Cari ascoltatori, neppure i moderati italiani – pur così modesti culturalmente, politicamente e anche nelle ambizioni – si meritano Beppe Sala.
Dal 1994, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e l’avvento della Seconda Repubblica si è affermato un bipolarismo composto da due grandi aree politico-culturali cui corrispondono due ricette alternative e due visioni di mondo distinte, per lo meno sui grandi temi. Così è andata nei momenti migliori: poi c’è stata l’irruzione del Movimento 5 Stelle e del suo vaffanculismo, che ha aperto l’orizzonte a un tripolarismo durato un battito di ciglia, fino a che il M5s è diventato il partito di Giuseppe Conte, un appendice un po’ più estremista e sguaiata del Pd. In questo quadro i cosiddetti moderati, quelli che si definiscono per negazione, dicono né di qua né di là, né questo né quello, sono rimasti in mezzo: non avendo identità politica non hanno neppure una proposta convincente, men che meno all’altezza di tempi movimentati come quelli che stiamo vivendo.
Tuttavia costoro non rinunciano a presentarsi con il sopracciò, sempre schizzinosi, sempre con la soluzione giusta: un mondo di ottimati che promettono di dare vita a un terzo polo che poi non nasce mai o non conta mai niente. Detto questo, neppure loro si meritano la sciagura di Beppe Sala, che da maggio 2027 sarà disoccupato e quindi si sta mettendo d’impegno per diventare lui il federatore degli sparuti moderati. Per annunciarlo ha scelto Il Foglio, giornale che già per sua natura incarna le ossessioni ombelicali dei cosiddetti “migliori”.
Ora, all’idea che possa essere Beppe Sala a federare i “migliori” e a far nascere l’alternativa al centro-destra e al centro-sinistra, fatichiamo a soffocare il riso. È l’ipotesi di leadership più inverosimile degli ultimi anni, soprattutto se mettiamo in fila le sue imprese come sindaco di Milano, che gli è sopravvissuta perché da sempre è una città vitale “nonostante” la politica, grazie all’iniziativa e all’attivismo dei suoi cittadini, alla sua attrattività.
Se infatti diamo uno sguardo ai mandati di Sala, l’infilata di insuccessi è sconcertante. Sala è arrivato a Palazzo Marino con l’aura dell’ex manager di rilievo in quota centro-destra, poi si è progressivamente sdraiato sui tic ideologici radical chic della borghesia-ztl che vive nella prima cerchia dei bastioni e sulle sue ossessioni green: le palme in piazza Duomo, le piste ciclabili in corso Buenos Aires che hanno reso impercorribile una delle principali arterie in entrata e in uscita da Milano.
Mentre si dedicava a questi vezzi, Sala ha perso completamente interi pezzi di città: la situazione della sicurezza è drammatica, periferie come il Corvetto sono in mano a bande di immigrati di seconda generazione che possono metterle a ferro e fuoco a piacimento. Su questo tema Sala a un certo punto ha anche sbracato quasi come un antagonista di sinistra: per esempio, invece di tenere alta la bandiera della legalità, sulla vicenda di Rami ha attaccato i carabinieri e ha fin spiegato loro come si deve fare un inseguimento; non ha emesso fiato sullo sfregio di Piazza Duomo sequestrata a capodanno da squadracce, tendenzialmente nordafricane o arabe, che praticavano le molestie sessuali di massa e urlavano “Allah akbar” e “Italia merda”. Sala è rimasto zitto e non ha neanche pensato di mettere in piedi uno straccio di politica sociale, così il fossato tra le periferie e l’acquario degli ottimati si è ampliato, ratificando la politica delle due Milano: una vetrina scintillante e una abitata dal volgare proletariato sudaticcio – che ha anche il torto di votare tendenzialmente a destra – abbandonata in balia dell’illegalità.
Qualcuno vorrebbe che l’Italia diventasse a dimensione-Sala? Seguendo il suo pensiero, nelle zone del Paese dove non ci sono i “plus” che Milano ha, rimarrebbero solo i “minus” portati proprio da lui : l’immigrazionismo acritico, l’ideologia antieconomica, le aree B e C, che magari arriveranno fino alla F: chi non ha una macchina all’avanguardia deve stare fuori dal centro, se siete dei poveracci abbiate il gusto di non inquinare.
Un’Italia a misura di Sala sarebbe una caricatura woke, proprio adesso che il woke sta finalmente tramontando. Per fortuna, anche qualora l’impresa fantascientifica di federare i moderati gli riuscisse, dubitiamo della possibilità che poi Sala vinca le elezioni, che si debbano transennare i seggi elettorali per le frotte di moderati accalcati alle urne per lui. D’altra parte, quando si ventilano ambizioni di leadership nazionale con un bilancio drammatico nella gestione della capitale economica del Paese, è difficile che le vele si gonfino di entusiasmo popolare.