Il suicidio strategico di Zelensky (ahinoi)
Giovanni Sallusti · 1 Marzo 2025
Cari ascoltatori, ieri sera abbiamo assistito in mondovisione a una pagina di storia in diretta e al suicidio strategico di Zelensky. Come liberali e conservatori pensiamo sia doveroso essere dalla parte di una nazione sovrana aggredita nella sua libertà e nella sua autodeterminazione, e il presidente ucraino ne rappresenta le ragioni, le ferite e la sofferenza. Tant’è che abbiamo sempre trovato bizzarro, anzi un vero mistero, che nella comunità valoriale dei partiti di centrodestra si sia spesso riscontrata molta sensibilità per le ragioni dell’imperialismo russo, rappresentato da un autocrate di purissima scuola kgb il cui sogno dichiarato sarebbe di restaurare l’impero sovietico.
Per noi sostenere l’Ucraina è giustissimo, come lo è frustrare il piano di Vladimir Putin, cioè l’annessione forzata del Paese. Putin questa cosa non l’ha ottenuta, quindi su questo piano ha incassato una sconfitta, dopo di che si è stabilizzato un fronte di guerra di trincea, peraltro logorantissima, nella quale i russi hanno più uomini e mezzi da gettare nel tritacarne: e l’amministrazione americana di Biden, non avendo la più pallida idea di come uscirne, l’ha lasciata incancrenire.
Oggi gli Usa hanno un presidente diverso, Donald Trump, che ha già dimostrato di saper tenere a bada le velleità imperialiste di Putin. Ora, tu sei il leader dell’Ucraina e hai tenuto il punto per tre anni certamente per il coraggio del tuo popolo, ma, da un punto di vista delle risorse militari, tecnologiche, strutturali, sostanzialmente grazie agli Stati Uniti e in parte alla Gran Bretagna. L’iniziativa di questo nuovo presidente può arrivare a un negoziato che salva non solo gran parte del territorio ma anche il tuo futuro politico, e tu che cosa fai? Una cosa che non si è mai vista nella storia della diplomazia: inizi a contraddirlo, a correggerlo, a volte con modi bruschi, in diretta sui media americani.
Già con un presidente qualunque questa scena avrebbe rotto l’armonia diplomatica, ma con uno come Trump la situazione è deflagrata. Non si può contraddire pubblicamente il presidente Usa, quasi minacciarlo, ed evocare perfino che l’America ora è tranquilla “perché ha un bell’oceano” ma in futuro si vedrà, e pensare di non innescare una rottura, che si è manifestata con il linguaggio a sua volta poco eufemistico di Trump, ma con un argomento vero, cioè che le uniche carte di Zelensky sono le carte dell’America (e del contribuente americano, argomento non secondario).
I disaccordi si compongono dietro le quinte, dove ci si può confrontare anche molto duramente, non in piazza, altrimenti si rischia di sembrare ingrati, fuori dalla realtà e dalla storia: insomma quel che Zelensky dovrebbe tenere a a mente è che la soluzione del conflitto è in mano americana e che il suo presidente ha l’esigenza di chiuderlo, certamente in modo degno e decoroso per l’Ucraina, perché ci sono altre priorità globali da affrontare, mentre l’Europa continua a dormire.
Non capire tutto questo vuol dire suicidarsi strategicamente, non cambia che Zelensky sia il capo della parte aggredita in questa guerra. Speriamo sia un suicidio parziale e che dopo la rottura, come spesso Trump ha dimostrato nella sua arte del negoziato, si arrivi a un accordo repentino. Lo diciamo da liberali, conservatori, affezionati alla libertà degli Stati sovrani, ma che non possono non rilevare la follia messa in scena da Zelensky contro gli interessi del suo Paese.