Continuano a non capire: la sfida di Trump è la Cina

· 25 Febbraio 2025


Cari ascoltatori, tanto per cambiare oggi imperversa sui giornaloni uno scandalo farlocco su una notizia farlocchissima: Donald Trump sarebbe una sorta di alleato-socio-marionetta del Cremlino. Ora – a parte che, come abbiamo ripetuto mille volte, già il primo mandato Trump dimostra il contrario, perché in quei quattro anni Putin non ha mosso foglia – questo slogan dei nemici di Trump non dice nulla, è solo un flebile tentativo di demonizzare la sua iniziativa negoziale sull’Ucraina e in generale il cambio di paradigma che sta cercando di imprimere alla geopolitica.

Trump può piacere o meno, ha sicuramente modalità irrituali, usa spesso l’iperbole come overture delle sue partite diplomatiche e i suoi stilemi da uomo d’affari aggressivo sono lontani dal politico riflessivo. Ma non è pazzo, ha una strategia, e parte da una premessa che viene sistematicamente omessa dai commentatori, anche oggi scandalizzati perché gli Usa all’Onu non votano come l’Europa sull’Ucraina, o perché Macron che ha dovuto aspettare qualche minuto alla Casa Bianca.

La premessa è che Donald Trump ha nel mirino una macrosfida globale ed epocale, di cui la guerra in Ucraina è una contingenza: siamo in bilico sulla “trappola di Tucidide” (le aspirazioni di una potenza in ascesa si scontano con la potenza egemone e portano inevitabilmente alla guerra) e la sfida vede da un lato l’America e il mondo libero, dall’altro il regime totalitario comunista cinese. D’altra parte, il trumpismo nasce come conseguenza di un grande abbaglio dell’élite democratica, allora clintoniana, quando nel 2001 andò in porto l’ingresso della Cina nel Wto, nel sistema del commercio globale, con l’illusione che globalizzando la circolazione delle merci e dei capitali sarebbe stata globalizzata anche la libertà politica, che però la Cina non ha mai conosciuto e tuttora non ha alcuna voglia di conoscere.

Accadde invece che così fu sdoganata l’Opa industriale della Cina sull’Occidente con la leva della concorrenza sleale, del costo del lavoro ridicolo, della capacità di copiare in casa e di diventare la fabbrica del mondo. Il trumpismo nasce sulla conseguente deindustrializzazione di vaste aree d’America che erano il cuore produttivo dell’America, su tutte la Rust Belt, e sul malcontento del “forgotten man” americano, l’operaio, l’esponente della classe medio-bassa, tradito da questa globalizzazione farlocca: una grande delusione che si è fatta romanzo in “Elegia americana” del vicepresidente J. D. Vance.

Trump ha ben chiara la sfida economica, come ha chiara la sfida tecnologica (ha Elon Musk al suo fianco) della Cina, l’unica potenza in grado di contendere agli Stati Uniti il primato sulle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale. Pechino ha aggiornato la sua dottrina ed è passata a un’idea di se stessa come potenza egemone intorno alla quale il mondo dovrà girare.

Come reazione, Trump sta rinfrescando un’asse permanente della storia diplomatica americana: evitare la saldatura tra i giganti asiatici, tra Russia e Cina, che fu anche l’essenza dell’azione di Richard Nixon e di Henry Kissinger, la famosa “diplomazia del ping pong”. Come ha scritto Federico Rampini, che non è certo un reazionario di ultradestra, l’apertura di Trump a Putin è comunque eticamente meno repellente dell’allora apertura di Nixon a Mao Zedong – responsabile della morte di 30 milioni di persone, più di Hitler e Stalin messi insieme – un’esigenza strategica dell’Occidente che al tempo diede i suoi frutti.

Questo è il ragionamento di Trump, che peraltro è stato illustrato ai microfoni di Radio Libertà da Gian Micalessin, che ha anche spiegato come Trump, per opporsi alla via della seta cinese, abbia in mente un’asse dell’innovazione fra Arabia Saudita, Israele e India, la grande potenza democratica confinante e rivale della Cina.

Per questo il dossier ucraino secondo Trump è secondario e va chiuso, non con una resa ma con una pace onorevole, e l’Europa deve giocare un ruolo, anche solo per prossimità geografica. Questa è l’azione di Trump: criticatela quanto volete, ma parlate di questo, non del gossip, di quanti minuti aspetta Macron, o delle vostre paranoie ideologiche, perché come al solito non ci state capendo niente.


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