La pace fiscale contro il partito della patrimoniale
Giovanni Sallusti · 17 Febbraio 2025
Cari ascoltatori, la grande balla postmoderna per cui sarebbe da archiviare la differenza destra-sinistra perché anacronistica è già stata smentita su tutti i fronti, sul tema del woke, del politicamente corretto, sull’idea di Occidente, sull’idea di Europa, ed è smentita anche sulla questione fiscale.
Non si tratta di una questione tecnico-economica, ma di visioni del mondo, che si separano nella faglia destra-sinistra, ovviamente aggiornata al nuovo millennio. Le differenze valoriali, politiche, programmatiche esistono ancora: e per fortuna, perché in queste ore ci sono sul tavolo due proposte che chiariscono la differenza di visione. Il cosiddetto campo largo punta su un grande classico ripescato, la patrimoniale, nella nuova versione sbandierata sia da Elly Schlein sia da Giuseppe Conte di europatrimoniale, in un Paese dove ne esistono già 14, dall’Imu-Tasi alle varie imposte di registro, al bollo auto, al canone Rai (su quest’ultimo è in atto una battaglia della Lega per ridurlo); e poi l’imposta sulle successioni, sulle donazioni, che tra l’altro vanno a premere sul già tassato.
In questo bailamme l’idea geniale di Elly, Conte e i loro sodali è di assegnare all’Europa, un moloch di cui è sempre più chiara l’obsolescenza, la facoltà di calare su tutto il continente una nuova bella patrimoniale e così farla finita con quel che resta del ceto medio. L’approccio culturale è nel demonizzare la parola “patrimonio”: il fatto di averlo è una colpa in sé e scatena quell’antica idea punitiva di fisco, in nome della mitologica redistribuzione socialista, che si dimentica sempre che la ricchezza va prima di tutto prodotta.
C’è però una visione del fisco e del mondo radicalmente alternativa, che si materializza nella proposta su cui sta insistendo la Lega: l’idea della pace fiscale. In questa espressione sta il principio che la guerra e le tasse non devono essere mai messi in relazione, né sotto il profilo valoriale né sotto il profilo pratico. Il fisco non è uno strumento di persecuzione di chi ha il torto di avere un patrimonio, vecchio scopo della società socialista. Le metafore e le pratiche belliche devono scomparire dalla questione fiscale ed essere sostituite con un rapporto sano fra lo Stato e il contribuente, basato sulla presunzione di innocenza e non di colpevolezza, uno dei fondamentali in una società libera.
Questo cambio di paradigma lo si vede nell’idea della rottamazione delle cartelle, che non andrebbe a vantaggio di un ristretto club di grandi evasori (tendenzialmente coccolati dai progressisti di cui sopra), ma è un provvedimento che, secondo le stime, può coinvolgere almeno 10 milioni di italiani, su una somma di circa 380 miliardi, si badi bene, dichiarati, non occultati: artigiani, partite Iva, commercianti, piccoli imprenditori che non hanno nascosto nulla, semplicemente non sono riusciti a pagare. Con la rottamazione delle cartelle potrebbero spalmare il pagamento in 10 anni senza nessuna maggiorazione, favorendo il loro ritorno alla vita e allo Stato il recupero di quel gettito. Questa è una visione liberale del fisco e del mondo.
Allora, di fronte a quelli della patrimoniale noi mettiamo sul tavolo l’idea della pace fiscale: e diciamo agli amici del centrodestra, in particolare a Forza Italia, che va benissimo ridurre di qualche punto l’Irpef a qualcuno, è una battaglia giusta. Ma è di retroguardia, non veramente impattante: da sola si ridurrebbe, come dice la Lega, in mancette residuali. La battaglia d’avanguardia è molto più strategica, è contrapporre a un’idea di fisco punitivo un’idea di fisco amico e pacifico.