Fabrizio Biasin: perché Carlo Conti è come Allegri
Giovanni Sallusti · 15 Febbraio 2025
A “Parlando liberaMente”, la nostra intervista settimanale con i protagonisti dell’attualità, della politica, del giornalismo, Giovanni Sallusti chiacchiera con il giornalista Fabrizio Biasin, inviato di Libero al Festival di Sanremo, dei risvolti della kermesse 2025. Cominciando con Carlo Conti e il suo “festival della normalizzazione”: “Carlo Conti è il personaggio ideale per traghettare il festival dopo il quinquennio di Amadeus. Dopo un lustro di grandi ascolti, di rivoluzione del festival, che prima era più una cosa per ultra settantenni, Conte è arrivato e un po’ come il primo Allegri alla Juventus, nel post Conte: ha scelto di non toccare niente. E infatti non è che stia capitando chissà che cosa, se pensiamo che eravamo abituati a Bugo e Morgan che scendevano dal palco. Ma va bene anche così: i cantanti cantano, i comici provano a far ridere…”.
Sono spariti anche i monologhi, e Matteo Orfini, responsabile Commissione Cultura del Pd, ha detto che riportare al centro le canzoni va bene, ma senza monologhi e brani di un certo tipo, la manifestazione risulta scarica. È che erano abituati a Sanremo come loro succursale: “Bisognerebbe fare applausi a Carlo Conti fino all’anno 3000 per averci tolto questi inutili pippotti da un quarto d’ora l’uno, dove il protagonista di turno celebra solo se stesso dicendo banalità su qualunque tipo di argomento”.
La vera storia della collana di Tony Effe: “Stava salendo sul palco con questo catenaccio d’oro, che per me per te è un catenaccio d’oro e basta., ma per chi frequenta certi ambienti è uno status symbol. Evidentemente sul catenaccio ci sono anche marchi riconoscibili, e siccome la Rai è terrorizzata da tutto quello che può comportare dei problemi con i marchi, gli sponsor eccetera, gli hanno chiesto di toglierlo. Tony Effe, che vive di queste cose, si è offeso tantissimo ed è andato a Radio 2 a denunciare la cosa. Ha dichiarato che si ritira? Farebbe anche un po’ la fortuna di tutti noi, un gran regalo”.
“Carlo Conti sui tempi è rigoroso come mai: è svizzero, si è preso la missione, quando ha detto che bisogna finire in fretta tutti noi pensavamo: sì vabbè, alla fine faremo le tre come sempre. Invece lui è una macchina: è arrivato a stroncare chi cerca di portargli via tempo e le sue conduttrici non possono andare oltre la frase di tre secondi, altrimenti in qualche maniera vengono zittite. È uno che porta a casa la prestazione, se deve finire entro l’una finisce entro l’una”.
“Gerry Scotti è un monumento della televisione italiana: sembrava proprio a suo agio. È vero che arriva da un’altra dimensione, è nato cresciuto a Mediaset, ma sul palco dell’Ariston aveva l’atteggiamento di chi sa padroneggiare qualunque tipo di situazione”.
“Sanremo in questi giorni è il centro del mondo anche per le attività collaterali. A ogni angolo della città succede qualcosa, sembra il carnevale di Rio, ci sono anche sosia di Trump che camminano per le vie del centro. Ho visto io stesso un biondone col ciuffo, credo che lo fosse perché urlava delle cose in inglese, secondo me ambiva essere il sosia di Trump”.
“I cantanti hanno capito che fare marketing di loro stessi è il segreto del successo, quindi ogni cantante si affitta un pezzo di città, chi una gelateria, chi un Lido, chi una pizzeria, e crea la sua base per fare un po’ di propaganda. Quindi in ogni angolo della città succede qualcosa, è bello farsi un giro, se uno vuole capire che cosa significa Sanremo: lo consiglio a tutti perché è come vedere che cos’è l’Italia, a Sanremo è impossibile non capire che cos’è l’Italia, il delirio più totale, nel senso che ci piace: nonostante il politicamente corretto stia provando a portarci via qualunque cosa, qui si vede l’italiano caciarone, l’italiano che ama alzare la voce, l’italiano che non vede l’ora che si creino dei casini per creare capannelli e buttarsi in mezzo, una versione più naif di Roccaraso. Non saremo i più belli del mondo però, insomma, siamo fatti così”.
“Anche questo cercare di creare dei casi tirando dentro la politica: c’è chi abbocca e chi no, però si può comprendere il tentativo di tanti colleghi di creare un po’ di caos, perché effettivamente poi ci cibiamo di queste cose qua. Se non ci fosse il collega che alza la mano e fa questo tipo di domanda, anche se il festival non c’entra niente, sull’antifascismo o sulla Meloni probabilmente non avremmo nulla da scrivere. Questa sorta di confusione parecchio inutile porta a creare dei casi che si fa finta che esistano: sono tutte situazioni che nascono e muoiono qui, e a da partire da lunedì parleremo di tutt’altro”.