Elly reinventa le foibe e fa sparire il comunismo
Giovanni Sallusti · 11 Febbraio 2025
Cari ascoltatori, c’è una parola che la ciarliera e maestra di supercazzole Elly Schlein non riesce proprio a pronunciare: le quattro sillabe di “comunismo”.
Ieri era il Giorno del ricordo, in cui si commemora il martirio delle foibe, decine di migliaia di italiani che sul finire della Seconda guerra mondiale furono perseguitati, scacciati dalle loro terre, gettati nelle foibe spesso ancora vivi, legati tra di loro, andando incontro a una fine orribile per mano dei partigiani titini, le bande partigiane che puntellavano il nuovo regime comunista che si stava instaurando in Jugoslavia. Elly ha esternato così: “Ricordare oggi, e non attutire mai il ricordo di quel dolore e di quella sofferenza, per costruire un presente e un futuro migliori. Il nostro pensiero va alle vittime di una tragedia, quella delle Foibe e dell’esodo dei giuliano-dalmati, perché ciò che è avvenuto ieri in quelle terre riguarda tutte e tutti gli italiani anche oggi: solo la conoscenza e la memoria completa possono infatti consentirci di superare e contrastare ogni forma di discriminazione e i progetti di annullamento e sterminio, ogni forma di odio che persiste anche nel presente”.
Insomma, esordisce con la massima genericità, sparge qua e là evocazioni all’attualità, e poi invoca una “memoria completa”, ma dimenticando la completezza: il grande assente, l’elefante nella stanza direbbe il suo sodale Pier Luigi Bersani, è la parola “comunismo”, che quegli italiani erano vittime dell’ideologia comunista.
Elly non riesce a ricordare il Giorno del ricordo, né un dato storico acquisito, cioè che scattò un’associazione automatica tra persecuzione ideologica degli italiani veri o presunti collaborazionisti con il regime o comunque disturbanti per il nuovo regime comunista, e la persecuzione etnica dell’italiano in quanto italiano. Quella di Elly non è un’amnesia secondaria, è come se nel Giorno della memoria ci si fosse dimenticati di nominare il nazismo e Hitler. Di fronte a sofferenze simili, il nome del responsabile deve essere pronunciato, altrimenti una commemorazione diventa un banale timbro sul cartellino social: in più, in questo caso l’omissione arriva proprio da parte di quelli che ogni giorno appena alzati da letto chiedono alla premier di prendere le distanze dal fascismo, cosa che fra l’altro Giorgia Meloni ovviamente fa da anni e ha fatto nel recente Giorno della memoria, quando ha ricordato la corresponsabilità della dittatura fascista con la macchina di sterminio nazista.
Invece in casa della sinistra non si riesce ancora a dire “comunismo”, e questo è il motivo per cui non riescono a votare all’Europarlamento la risoluzione che prende atto di un’ovvietà storiografica, l’equazione tra i totalitarismi, la risoluzione che vuole vietare l’esposizione di simboli nazisti e sovietici, perché il mostro totalitario del Novecento aveva due teste. Basta rileggere Hannah Arendt, Ernst Nolte, Karl Popper: il marchingegno totalitario, uno Stato-partito che divora tutte le vite individuali e tutta la società in nome di un’ideologia, e che perseguita coloro che deviano da questa ideologia destinandoli ai campi di concentramento, è lo stesso per il nazionalsocialismo e per il comunismo. Ma quella mozione ovvia il Pd non l’ha votata: perché non riescono neanche a dire “comunismo”, figurarsi se riescono a iscriverlo dove deve stare, nella galleria degli orrori dell’umanità.