Meno Europa e fisco giusto: l’accelerata liberista di Salvini

· 10 Febbraio 2025


Cari ascoltatori, stamane mettiamo a referto una buona notizia politica, l’accelerazione liberista verso cui Matteo Salvini sta portando il centrodestra, cioè verso la natura stessa del centrodestra, che la differenzia dal gattopardismo consociativo all’insegna del “tassa e spendi” che ha connotato i governi Pd, fra l’altro spesso andati in sella bypassando le urne. Attenzione, non stiamo parlando di un’accelerazione “liberal”, cioè tutta di retorica politicamente corretta sulla moltiplicazione di fantomatici diritti, ma un’accelerazione liberale vera, che presidia i diritti naturali degli individui, delle persone, delle famiglie, delle aziende.

Quest’accelerazione nell’ultimo fine settimana si è vista in due tranche. Anzitutto, nel ritrovo di Madrid, che i giornaloni hanno dipinto come una sorta di birreria tedesca degli anni ‘30, piena di estremisti pericolosi, di truppe della tecnodestra (termine che ha provvisoriamente scalzato il fascismo nel copia e incolla mainstream). A Madrid, Matteo Salvini più di tutti ha fatto risuonare la parola d’ordine comune “meno Europa, più libertà”, liberale in senso autentico e non storpiato, thatcheriano, di cui abbiamo parlato anche di recente: meno Leviatano che esercita il dominio da Bruxelles, meno burocrazia compulsiva che regolamenta anche gli aspetti secondari delle nostre vite e delle nostre attività economiche; più spazio agli Stati e alle identità culturali plurali che fanno la ricchezza dell’Europa.

Salvini, appunto, ha spiegato che sono gli Stati a legittimare l’Unione europea e non viceversa, perché è negli Stati che si realizza pienamente il principio della rappresentanza democratica. “Meno Europa, più libertà” vuol dire portare avanti l’ottica della collaborazione, della cooperazione, ma non quella dell’uniformità forzata, del dirigismo integrale, di follie come il green deal che imbrigliano l’economia di un continente e la spingono al suicidio. Insomma i concetti in cui si riconosce chi crede nella libertà dell’individuo e dei popoli europei.

La seconda parte di questa accelerazione si è vista in casa, con la battaglia per la rottamazione delle cartelle esattoriali, per la pace fiscale. Ci sono oltre 10 milioni di persone, un sesto degli italiani, con cartelle esattoriali che gravano sulle loro vite, sulle loro aziende: parliamo di piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, di quel vasto mondo contemporaneo del lavoro che non rientra nelle vecchie tutele (l’unica cosa che interessa ai sindacati in stile Landini), cioè i veri deboli di oggi, persone che hanno dichiarato tutto e che non sono riuscite a pagare per mancanza di liquidità.

Un centrodestra autentico su questo deve fare la differenza, perché i governi del passato a guida Pd hanno praticato il fisco in ottica punitiva, di saccheggio, per mantenere clientele politiche, parapolitiche, fino a distribuire il reddito di cittadinanza. Il centrodestra deve archiviare quella stagione di oppressione e dare un senso all’espressione “fisco amico”, cioè che non presume la tua colpevolezza, che ti viene incontro se sei in difficoltà, che lascia respirare il tuo lavoro e la tua azienda, sapendo che alla distanza ci guadagnerà anche a livello di gettito.

Questi sono due colpi di purissima barra liberale che abbiamo sempre auspicato, perché il governo sta lavorando bene ed è venuto il momento di ripensare il rapporto tra gli Stati e le istituzioni europee e di ripensare l’articolazione del fisco in patria: queste sono le battaglie liberiste, thatcheriane, di vero centrodestra.


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