Il vecchio comunista Minniti spazza via Conte e Schlein

· 4 Febbraio 2025


Cari ascoltatori, domani i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi riferiranno in aula sul caso Almasri e il caravanserraglio delle opposizioni cavalcherà questa folle iniziativa giudiziaria con grancassa mediatica a rimorchio su un delicato dossier di esclusiva competenza del potere politico: lo si può criticare politicamente, ma non è una notizia criminis.

Se volete evitarvi questo sfoggio di ipocrisia, l’antidoto si chiama Marco Minniti, che con un’intervista al Corriere della Sera ha chiuso i giochi prima che il circo di domani inizi. Marco Minniti è una pura espressione della tradizione comunista, la quale praticava il realismo politico al massimo grado: arrivò al governo con D’Alema con un robusto cursus honorum, con la conoscenza di che cos’è l’interesse nazionale e con capacità di ragionamento politico. Oggi la leadership del Pd è una propaggine dei centri sociali, una delle sigle della rivolta sociale invocata da Landini.

Minniti è stato il ministro dell’Interno che per primo cercò di contenere gli sbarchi; poi Salvini, con la politica dei porti chiusi, fece un salto di qualità e anche un salto nei numeri. Minniti al suo tempo deviò dal dogma dell’accoglienza a prescindere, e per questo da eccellenza comunista diventò una specie di appestato.

Ecco le sue parole al Corriere: “La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza nazionale, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino. Un pezzo grande di sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali”. Usciamo allora dall’ipocrisia: la vita e la sicurezza di Cecilia Sala, della cui liberazione siamo felici noi per primi, sono più chic delle vite e la sicurezza delle centinaia di italiani che lavorano a vario titolo all’Eni e più in generale in Libia? Perché le parole di Minniti dicono che nel dossier Almasri era in gioco l’incolumità di molti cittadini italiani residenti in un Paese che coagula tutto il vulcano geopolitico del Mediterraneo. Nell’intervista Minniti chiarisce che la Libia è la base più avanzata dei trafficanti di esseri umani, e signori come Almasri probabilmente hanno in mano anche i rubinetti di quel traffico. Non solo: lavoratori dell’Eni in Libia spesso sono stati protetti o addirittura liberati dalle milizie o forze di polizia libiche (lì le differenze si sfumano) riconducibili a uomini come Almasri. Si chiama realismo politico, interesse nazionale elementare.

Ha aggiunto Minniti che in Libia “si gioca una partita energetica essenziale, come si è visto nella vicenda ucraina, e che l’Africa è il principale incubatore di terrorismo internazionale: solo qualche anno fa la capitale moderna della Libia, Sirte, era in mano allo Stato Islamico”.

Tutto questo era in ballo nell’affaire Almasri, e supera di gran lunga le competenze dello stimabilissimo dottor Lo Voi: non siamo nel campo dei formalismi giuridici, ma in quello della ragione di Stato, come lo eravamo nel caso dell’ingegnere iraniano, accusato di essere un terrorista, scarcerato quando venne liberata Cecilia Sala. Questo è il livello, e ce lo dice Marco Minniti, purissima scuola comunista. Marco Minniti 1 – Schlein&Conte sotto zero.


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *




Radio Libertà

Background