Ha trovato di recente spazio sui social e sulla stampa la discussione se nazismo e socialismo siano o meno manifestazioni dello stesso impulso totalitario. È indubbiamente una questione che divide, la quale, tuttavia, merita di essere approfondita al di là degli slogan, dei pregiudizi ideologici e delle reazioni emotive.
Non si tratta invero di una provocazione recente, ma di un’analisi storica e filosofica, che ha richiamato l’attenzione e le riflessioni di alcuni dei più grandi pensatori liberali del XX secolo, come Friedrich A. von Hayek e Ludwig von Mises. Entrambi hanno evidenziato come nazismo e socialismo, sebbene caratterizzati da retoriche differenti, condividano una radice comune.
In particolare, Hayek, nel suo celebre libro “La via della schiavitù”, pubblicato nel 1944, ha spiegato come le ideologie collettiviste – siano esse socialiste o nazionaliste – condividano lo stesso destino: il controllo totalitario dello Stato su ogni aspetto della vita economica e sociale. Il punto centrale della sua critica è che il socialismo, pur presentandosi come un progetto di giustizia sociale, richiede la pianificazione centralizzata dell’economia. E la stessa, una volta avviata, non può che trasformarsi in un sistema di controllo autoritario. Quando l’apparato statale decide che cosa deve essere prodotto, a quale prezzo e da chi, inevitabilmente finisce per regolare anche il comportamento delle persone, togliendo loro ogni spazio di autonomia.
Per il medesimo pensatore, premio Nobel per l’economia nel 1974, il nazismo è stato il risultato inevitabile delle tendenze collettiviste che si erano diffuse in Europa nella prima metà del Novecento. La Germania, abbandonata la tradizione liberale che aveva caratterizzato parte della sua storia, è scivolata verso un sistema in cui lo Stato ha assunto il controllo totale della società, in nome di un presunto bene superiore. La differenza tra il socialismo internazionalista di Lenin e il nazionalsocialismo di Hitler è quindi solo apparente: entrambi miravano a creare una società in cui l’individuo non avesse più diritti propri, ma fosse completamente subordinato allo Stato.
Anche Mises, l’altro grande scienziato sociale austriaco, ha smascherato la falsa contrapposizione tra nazismo e socialismo, dimostrando che entrambi condividono la stessa radice ideologica. Nella sua opera, a iniziare da “Socialismo”, ha infatti tratteggiato che il nazional-socialismo non era altro che una variante del socialismo adattata alla retorica nazionalista. Non a caso, il programma economico del Partito Nazionalsocialista prevedeva la statalizzazione delle imprese, il controllo dei prezzi e la redistribuzione delle risorse secondo criteri decisi dallo Stato, esattamente ciò che predicavano anche i socialisti, sebbene con un linguaggio diverso. Per lo studioso austriaco, il cuore del socialismo, in tutte le sue forme, è sempre lo stesso: l’abolizione della proprietà privata e la centralizzazione delle decisioni economiche. Ed è proprio questa centralizzazione che conduce inevitabilmente al totalitarismo.
Lo stesso Mises ha poi approfondito ulteriormente la disamina nel saggio “Lo Stato onnipotente”, pubblicato nel 1944, in cui ha sottolineato come il nazismo non sia nato come un fenomeno reazionario di destra, ma come una risposta alla minaccia del socialismo internazionale rappresentato dall’Unione Sovietica. Tuttavia, anziché opporsi al socialismo, Hitler lo ha adattato alle esigenze nazionaliste, sostituendo la “lotta di classe” marxista con la “lotta di razza”. La struttura di fondo, però, è rimasta la stessa: pianificazione centralizzata, annullamento dell’individuo e soppressione delle libertà personali.
Il citato studioso liberale, più di ogni altro economista del suo tempo, ha così messo in luce un aspetto fondamentale: la libertà economica è inseparabile dalla libertà individuale. Quando lo Stato si arroga il diritto di decidere come devono essere utilizzate le risorse, chi può possedere che cosa e come devono essere distribuite le ricchezze, inevitabilmente finisce per controllare anche le scelte personali. Non può esistere una società libera senza proprietà privata, perché la proprietà è la condizione necessaria per garantire l’autonomia degli individui dallo Stato. La pianificazione economica, sia essa motivata da ragioni socialiste o nazionaliste, porta sempre alla soppressione della libertà, trasformando ogni cittadino in un suddito dello Stato onnipotente.
In argomento, a parte i due indicati esponenti della Scuola Austriaca di economia, non è infine inutile segnalare sia il contributo dello storico letterario George Watson, che in “The Lost Literature of Socialism”, ha indicato che già nel XIX secolo alcuni socialisti avevano posizioni simili a quelle del nazismo, promuovendo il controllo sociale e l’eugenetica, sia quello di Ayn Rand, la scrittrice libertaria americana di origine russa. Quest’ultima ha descritto in modo perfetto la dinamica di cui trattasi, osservando che socialismo e nazismo sono “varianti dello statalismo”, basate sull’idea che l’uomo sia uno schiavo dello Stato. Entrambi i totalitarismi negano che l’individuo abbia diritti propri, sostenendo che il suo valore dipende esclusivamente dalla sua utilità per il collettivo. È questa la radice comune che ha portato ai peggiori crimini del secolo scorso: quando lo Stato assume un potere assoluto, la libertà viene sempre sacrificata.
Così stando le cose, è fondamentale non lasciarsi ingannare dalle etichette. La differenza tra nazismo e socialismo risiede nella propaganda, poiché entrambe le ideologie condividono lo stesso impianto: il potere centralizzato e l’annientamento dell’individuo sotto il peso di un collettivo imposto dall’alto. Comprendere le radici comuni di questi sistemi non è una mera disquisizione storica, ma una lezione che mantiene una forte attualità e dovrebbe allertare le società contemporanee.
Il rischio del totalitarismo non è confinato al passato. Ogni volta che si concentra il potere nelle mani dello Stato, sacrificando la libertà individuale in nome di un presunto bene collettivo, si aprono le porte a nuove forme di oppressione. Politiche che promuovono la pianificazione economica, il controllo delle risorse e la redistribuzione forzata possono sembrare giuste e necessarie, ma comportano inevitabilmente un’ingerenza crescente dello Stato nella vita dei cittadini, con il rischio di trasformare la società libera in una società guidata da un potere onnipotente.
La lezione che si può trarre resta più che mai attuale: ogni sistema che punta a dirigere la vita economica conduce alla soppressione delle libertà personali. Il vero antidoto contro queste derive collettiviste è la difesa della proprietà privata e del libero mercato, che garantiscono autonomia e dignità. Solo un’economia lasciata alle scelte degli individui, senza ingerenze statali, può evitare il ripetersi degli errori del passato, quando i regimi più oppressivi sono nati dall’illusione che lo Stato potesse essere l’artefice del progresso e della giustizia.
Molto Stato e niente libertà: ecco perché nazismo e comunismo sono gemelli
Sandro Scoppa · 26 Gennaio 2025
Ha trovato di recente spazio sui social e sulla stampa la discussione se nazismo e socialismo siano o meno manifestazioni dello stesso impulso totalitario. È indubbiamente una questione che divide, la quale, tuttavia, merita di essere approfondita al di là degli slogan, dei pregiudizi ideologici e delle reazioni emotive.
Non si tratta invero di una provocazione recente, ma di un’analisi storica e filosofica, che ha richiamato l’attenzione e le riflessioni di alcuni dei più grandi pensatori liberali del XX secolo, come Friedrich A. von Hayek e Ludwig von Mises. Entrambi hanno evidenziato come nazismo e socialismo, sebbene caratterizzati da retoriche differenti, condividano una radice comune.
In particolare, Hayek, nel suo celebre libro “La via della schiavitù”, pubblicato nel 1944, ha spiegato come le ideologie collettiviste – siano esse socialiste o nazionaliste – condividano lo stesso destino: il controllo totalitario dello Stato su ogni aspetto della vita economica e sociale. Il punto centrale della sua critica è che il socialismo, pur presentandosi come un progetto di giustizia sociale, richiede la pianificazione centralizzata dell’economia. E la stessa, una volta avviata, non può che trasformarsi in un sistema di controllo autoritario. Quando l’apparato statale decide che cosa deve essere prodotto, a quale prezzo e da chi, inevitabilmente finisce per regolare anche il comportamento delle persone, togliendo loro ogni spazio di autonomia.
Per il medesimo pensatore, premio Nobel per l’economia nel 1974, il nazismo è stato il risultato inevitabile delle tendenze collettiviste che si erano diffuse in Europa nella prima metà del Novecento. La Germania, abbandonata la tradizione liberale che aveva caratterizzato parte della sua storia, è scivolata verso un sistema in cui lo Stato ha assunto il controllo totale della società, in nome di un presunto bene superiore. La differenza tra il socialismo internazionalista di Lenin e il nazionalsocialismo di Hitler è quindi solo apparente: entrambi miravano a creare una società in cui l’individuo non avesse più diritti propri, ma fosse completamente subordinato allo Stato.
Anche Mises, l’altro grande scienziato sociale austriaco, ha smascherato la falsa contrapposizione tra nazismo e socialismo, dimostrando che entrambi condividono la stessa radice ideologica. Nella sua opera, a iniziare da “Socialismo”, ha infatti tratteggiato che il nazional-socialismo non era altro che una variante del socialismo adattata alla retorica nazionalista. Non a caso, il programma economico del Partito Nazionalsocialista prevedeva la statalizzazione delle imprese, il controllo dei prezzi e la redistribuzione delle risorse secondo criteri decisi dallo Stato, esattamente ciò che predicavano anche i socialisti, sebbene con un linguaggio diverso. Per lo studioso austriaco, il cuore del socialismo, in tutte le sue forme, è sempre lo stesso: l’abolizione della proprietà privata e la centralizzazione delle decisioni economiche. Ed è proprio questa centralizzazione che conduce inevitabilmente al totalitarismo.
Lo stesso Mises ha poi approfondito ulteriormente la disamina nel saggio “Lo Stato onnipotente”, pubblicato nel 1944, in cui ha sottolineato come il nazismo non sia nato come un fenomeno reazionario di destra, ma come una risposta alla minaccia del socialismo internazionale rappresentato dall’Unione Sovietica. Tuttavia, anziché opporsi al socialismo, Hitler lo ha adattato alle esigenze nazionaliste, sostituendo la “lotta di classe” marxista con la “lotta di razza”. La struttura di fondo, però, è rimasta la stessa: pianificazione centralizzata, annullamento dell’individuo e soppressione delle libertà personali.
Il citato studioso liberale, più di ogni altro economista del suo tempo, ha così messo in luce un aspetto fondamentale: la libertà economica è inseparabile dalla libertà individuale. Quando lo Stato si arroga il diritto di decidere come devono essere utilizzate le risorse, chi può possedere che cosa e come devono essere distribuite le ricchezze, inevitabilmente finisce per controllare anche le scelte personali. Non può esistere una società libera senza proprietà privata, perché la proprietà è la condizione necessaria per garantire l’autonomia degli individui dallo Stato. La pianificazione economica, sia essa motivata da ragioni socialiste o nazionaliste, porta sempre alla soppressione della libertà, trasformando ogni cittadino in un suddito dello Stato onnipotente.
In argomento, a parte i due indicati esponenti della Scuola Austriaca di economia, non è infine inutile segnalare sia il contributo dello storico letterario George Watson, che in “The Lost Literature of Socialism”, ha indicato che già nel XIX secolo alcuni socialisti avevano posizioni simili a quelle del nazismo, promuovendo il controllo sociale e l’eugenetica, sia quello di Ayn Rand, la scrittrice libertaria americana di origine russa. Quest’ultima ha descritto in modo perfetto la dinamica di cui trattasi, osservando che socialismo e nazismo sono “varianti dello statalismo”, basate sull’idea che l’uomo sia uno schiavo dello Stato. Entrambi i totalitarismi negano che l’individuo abbia diritti propri, sostenendo che il suo valore dipende esclusivamente dalla sua utilità per il collettivo. È questa la radice comune che ha portato ai peggiori crimini del secolo scorso: quando lo Stato assume un potere assoluto, la libertà viene sempre sacrificata.
Così stando le cose, è fondamentale non lasciarsi ingannare dalle etichette. La differenza tra nazismo e socialismo risiede nella propaganda, poiché entrambe le ideologie condividono lo stesso impianto: il potere centralizzato e l’annientamento dell’individuo sotto il peso di un collettivo imposto dall’alto. Comprendere le radici comuni di questi sistemi non è una mera disquisizione storica, ma una lezione che mantiene una forte attualità e dovrebbe allertare le società contemporanee.
Il rischio del totalitarismo non è confinato al passato. Ogni volta che si concentra il potere nelle mani dello Stato, sacrificando la libertà individuale in nome di un presunto bene collettivo, si aprono le porte a nuove forme di oppressione. Politiche che promuovono la pianificazione economica, il controllo delle risorse e la redistribuzione forzata possono sembrare giuste e necessarie, ma comportano inevitabilmente un’ingerenza crescente dello Stato nella vita dei cittadini, con il rischio di trasformare la società libera in una società guidata da un potere onnipotente.
La lezione che si può trarre resta più che mai attuale: ogni sistema che punta a dirigere la vita economica conduce alla soppressione delle libertà personali. Il vero antidoto contro queste derive collettiviste è la difesa della proprietà privata e del libero mercato, che garantiscono autonomia e dignità. Solo un’economia lasciata alle scelte degli individui, senza ingerenze statali, può evitare il ripetersi degli errori del passato, quando i regimi più oppressivi sono nati dall’illusione che lo Stato potesse essere l’artefice del progresso e della giustizia.
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Sandro Scoppa
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