Oggi cambia il mondo. In meglio
Giovanni Sallusti · 20 Gennaio 2025
Cari ascoltatori, oggi prenderà ufficialmente il via il più spettacolare caso di rinascita sulla scena politica americana: questa è la descrizione che “Time” fa del ritorno sulla scena di Donald Trump. Noi dedichiamo l’Inauguration day a lor signori, cioè alle truppe cammellate del mainstream, che all’indomani dei fatti di Capitol Hill avevano dato per certo che Donald Trump fosse politicamente morto, e avevano fatto partire un volteggio collettivo di editoriali e pensose riflessioni sul suo cadavere.
Questo invece non è accaduto: allora hanno elaborato l’immagine di un candidato repubblicano indebolito, che non avrebbe mai avuto la capacità di unire tutte le anime del partito repubblicano. E invece Trump lo ha fatto, gradualmente ma inarrestabile, fino a incassare anche l’endorsement di Nikki Haley, che rappresentava l’ala più legata al vecchio neoconservatorismo ed era la più legittimata a criticare Trump. Allora lor signori hanno iniziato a sostenere il vecchio Joe Biden come candidato con un bilancio di governo fantasmagorico, certamente vincente. Poi la cupola del partito democratico, con in testa il clan Obama, ha deciso brutalmente di sfilare il presidente uscente dalla contesa elettorale e imporre la vice Kamala Harris come alternativa senza passare dal vaglio popolare – atti molto anomali nella storia americana – mentre Joe Biden è stato ridisegnato come un vecchio rincoglionito. Attenzione: non è rilevante che lo fosse davvero o meno, lo è invece la brusca inversione a U del suo partito, che lo ha portato dall’apparire una sintesi di Roosevelt e Reagan all’essere spedito all’ospizio, con una significativa dose di ipocrisia anche sul piano umano.
Con il lancio di Kamala, la parola d’ordine è diventata “Joy”, la gioia: lanciata da Oprah Winfrey alla convention democratica, a cascata è arrivata ai bracci periferici del politicamente corretto, inclusi i giornaloni nostrani. Così è partito un ossessivo contrapporre la “gioia” alla rabbia del becero sovranista, o peggio fascista, un’operazione di ribaltamento sul tycoon newyorkese che stava portando avanti invece molti temi libertari, alleanza con Musk inclusa. Ma, mentre la stampa italiana riempiva pagine entusiaste per Kamala e previsioni trionfali, in America i sondaggisti sono rimasti più prudenti e frastagliati.
E infatti alla fine ha vinto con larghezza il puzzone e Repubblica ha fatto il capolavoro di pubblicare per sbaglio un titolo preconfezionato che dava Kamala alla Casa Bianca. Allora la parola d’ordine di lor signori è cambiata ma non in “abbiamo sbagliato”, bensì in “ora si spalanca l’apocalisse”: il mondo cadrà in una guerra permanente, tesi bislacca, visto che Trump è stato l’unico presidente americano nella storia recente che non ha innescato guerre.
Ebbene, già prima dell’inauguration day la nuova presidenza ha segnato dei punti: uno, importantissimo, è l’accordo in Medio Oriente che non sarebbe mai avvenuto senza lo spettro di Trump sui terroristi di Hamas, che fino a oggi hanno mandato a monte le trattative un’infinità di volte, ma non questa: sono orrendi assassini ma non sono stupidi, hanno capito che Trump la deterrenza la sa praticare e che quando dice “restituite gli ostaggi o scatenerò l’inferno”, non è il caso di andare a verificare. È cambiato anche il mood sulla guerra russo-ucraina: sia Zelensky sia Putin, ognuno dal proprio punto di vista, per la prima volta hanno dichiarato la loro apertura alla trattativa. E questo perché Trump ha già dettato la sua agenda.
Dunque, da questa sera avremo alla casa Bianca questo spettacolare caso di rinascita, come l’ha definito Time: ma siamo sicuri che loro signori che finora non ci hanno capito nulla da domattina ricominceranno a spiegare a tutti come va l’America.