“Comincia l’età dell’oro”: addio woke, viva la realtà
Giovanni Sallusti · 20 Gennaio 2025
Cari ascoltatori, il 47esimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è insediato con un discorso solare, assai di più di quello per il primo mandato: se vogliamo, fatte le dovute differenze, più reaganiano. Il filo conduttore è stato un prepotente ritorno della realtà che spazza via le ideologie dei quattro anni precedenti: il pensionamento, si spera definitivo, del green deal, della follia di mortificare intere filiere produttive; la fine del relativismo arcobaleno (“nella mia America esistono due generi, il maschio e la femmina”); tornare a trivellare il suolo per dare energia al Paese, ricominciare a produrre e ripristinare la potenza americana.
Ed è di spirito reaganiano anche il fatto che abbia insistito sulla frontiera, sull’epopea del vecchio ovest, sulla conquista della Luna, sulla vittoria di due guerre mondiali, sull’aver prevalso su fascismo e comunismo, con la conclusione: non c’è niente che non possiamo fare. Un’apertura al futuro, una moltiplicazione dell’opportunità, che è culminata quando ha detto che gli americani porteranno le stelle e strisce su Marte (per la gioia di Elon Musk). Trump ha intercettato uno spirito dell’America che precede ogni divisione: crediamo che abbia vinto le elezioni quando si è rialzato dopo che gli avevano sparato e ha alzato il pugno in segno di sfida gridando fight fight fight, combattere, con un colpo di reni tutto americano.
C’è un aspetto che il mainstream cercherà di sottovalutare – sappiamo già che domani lor signori ricominceranno a dare a tutti lezioni di America leggendo il discorso come eversivo: il grande spirito di conciliazione con cui ha elencato come sarà presidente di tutti gli americani, appunto leggendone lo spirito; mentre a essere divisivo è stato l’establishment del suo predecessore, un’elite democratica ormai scollata dal Paese.
Parlando dei presenti, il fatto che l’unico leader europeo al Campidoglio fosse Giorgia Meloni è molto positivo, l’Italia ha veramente una grande opportunità. L’Europa teme, e ne fa retorica, che Trump interloquisca con gli Stati a sé stanti, non con burosauro Ue. Ricordiamo allora Henry Kissigner che disse: se devo chiamare l’Europa non ho un numero di telefono. Ancora oggi l’Unione è un’entità astratta, brava a dirigere come coltivare i campi e a misurare gli ortaggi, ma dal punto di vista politico non rappresenta nulla di effettivo: con gli Usa, il nostro miglior alleato, la più grande democrazia liberale del mondo, è meglio avere un rapporto diretto, una corsia preferenziale. E il nostro governo, in particolare con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che è sempre stato dalla parte di Trump anche quando esserlo era politicamente scorretto, oggi è in pole position.