Il governo segna un punto di libertà sulla giustizia
Giovanni Sallusti · 16 Gennaio 2025
Cari ascoltatori, oggi alla Camera dei Deputati è stato segnato un punto di libertà, un punto qualificante dell’agenda di un centrodestra e di un governo che vuole davvero riformare, ammodernare, rendere più libero e liberale il Paese.
È stato infatti votato il via libera alla riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati, inquirenti e giudicanti. Questo è un macrotema della Repubblica, uno snodo per decenni irrisolto, il cui mancato scioglimento ha prodotto molti danni e ha incentivato la contaminazione tra poteri, lo sconfinamento dell’oridine giudiziario, l’abdicazione della politica, un morbo che affligge l’Italia dal 1992, da Tangentopoli. Ora la palla passa al Senato e la maggioranza punta a completare questa parte di iter entro la pausa estiva.
Alla Camera la riforma è passata con 174 voti a favore, 92 contrari e 5 astenuti: favorevole ovviamente l’intera coalizione di centrodestra, con il sostegno di Azione e di Più Europa. I no sono arrivati da Partito Democratico (erede dei principali beneficiari della vigente stortura della giustizia italiana), il Movimento 5 Stelle – partito giustizialista per eccellenza – l’Alleanza Verdi Sinistra; e segnaliamo – ma è una postilla di costume, perché ormai non ha più a che fare con la politica – l’astensione di Italia Viva.
Ci viene in mente l’aggettivo “buffone” che il garbato e inappuntabile Matteo Renzi ha rivolto al ministro Matteo Salvini, perché oggi gli si è ritorto contro. Infatti Renzi da anni conduce una sacrosanta battaglia, anche se sempre e solo autoriferita, contro la malagiustizia, contro la politicizzazione ideologica di una certa casta togata: però al momento di tirare le somme si è astenuto, svelando così che il buffone è lui.
Tornando alle cose importanti, il nostro primo pensiero corre a Silvio Berlusconi per un motivo politico, perché per Berlusconi questo passo era un punto qualificante della sua agenda, era la premessa per una riforma della giustizia non retorica; e per un motivo umano, perché l’imputato Silvio Berlusconi ha sofferto più di tutti questa stortura, sulla propria pelle.
Questo percorso è stato sostenuto con vigore dalla Lega, ricorderete la battaglia per i referendum sulla giustizia: e infatti oggi per il partito di Matteo Salvini è un momento di grande entusiasmo. E bisogna sottolineare che è una battaglia non ideologica (anzi, il trucco dell’opposizione è stato di ideologizzare questo termine): per fare un esempio, era a favore della separazione delle carriere Giovanni Falcone, nume tutelare della magistratura e paradigma del magistrato virtuoso, inattaccabile, fino a diventare un martire dello Stato. Per questo, solo chi interpreta la magistratura come casta o corporazione ha motivo di temere questa riforma.
A dissipare ogni possibile dubbio basterebbe elencare le democrazie avanzate dell’Occidente in cui, al netto dei distinguo di ogni sistema, è vigente una forma di separazione delle carriere: Germania, Svezia, Svizzera, Spagna, Portogallo. E poi tutti i Paesi anglosassoni, Inghilterra, Australia, Canada, Nuova Zelanda, i cui sistemi poggiano su una integrale parità tra accusa e difesa, fino al caso degli Stati Uniti, che hanno addirittura un meccanismo elettivo.
Oggi l’Italia fa un passo verso l’assetto di un moderno Paese occidentale, libero e liberale, in cui il cittadino è più garantito: è una garanzia non solo che ci sia parità tra lo Stato che lo accusa e chi lo difende, ma anche che il cittadino di questa parità abbia percezione. Altrimenti il gioco è truccato a monte, con la contiguità tra chi deve giudicarlo e chi lo accusa in nome dello Stato, che si presenta così come un moloch inconbente.
Oggi è passato un provvedimento di civiltà, speriamo che avanzi anche al Senato. Al netto dei buffoni.