Fra le tante accuse, quasi sempre in malafede, che si sono sentite in questi giorni rivolte al nuovo Codice della strada varato dal Ministro Salvini, una in particolare esige una risposta forte e chiarificatrice. Per alcuni commentatori, infatti, l’inasprimento delle pene previsto sarebbe in contraddizione con i principi del liberalismo: indice di un deficit di cultura liberale e della mentalità repressiva e autoritaria che accomunerebbe, fra l’altro, Salvini agli altri esponenti del governo in carica.
Che sia una tesi pretestuosa lo si dimostra con un semplice ragionamento. È assolutamente vero, infatti, che in certi ambienti liberal-libertari, soprattutto americani, si usa dire che, se qualcuno ha intenzione di correre come un pazzo su una strada e rompersi la testa, ha tutto il diritto di poterlo fare. In linea di massima, cioè da un punto di vista astratto e teorico, il principio vale: l’individuo, in ottica liberale, gode di una sovranità assoluta e può pensare e comportarsi come meglio crede. La vita gli appartiene e, come c’è un diritto al “perseguimento della felicità”, per dirla con i Padri Fondatori, così deve concedersene anche uno all’infelicità e persino all’autodistruzione. Di tutto abbiamo bisogno fuorché di uno Stato Pedagogo, che è poi una variante dello Stato Etico, che ci dica nei particolari come comportarci.
Tutto vero. Se però scendiamo dalla teoria alla realtà concreta ci accorgiamo che ogni individuo deve ogni giorno mettere in gioco la sua assoluta libertà nella società. Detto altrimenti, deve fare i conti con la uguale libertà e con la vita di tutti gli altri. È in questa dimensione sociale che perciò la questione va correttamente collocata. Guidando un mezzo da ubriaco o sotto l’effetto di droghe, sfrecciando in città anche sui marciapiedi come spesso avviene, guidando avendo in una mano un telefonino, ecc. ecc., io metto a repentaglio non solo la vita mia ma anche quella degli altri. Di fronte a un aumento esponenziale degli incidenti e delle morti causate da certi comportamenti sulla strada, il legislatore non poteva perciò stare fermo: doveva intervenire e intervenire con mano pesante. E così è stato.
Regolare la vita sulle nostre strade non significa perciò comprimere la libertà individuale, ma, al contrario, provare a garantire la libertà e la vita di tutti. Lo Stato di diritto, a ben vedere, non è nato altro che per raggiungere questo fine di tutela e protezione della vita. Passate in filigrana una per una le misure prese, si può perciò ben dire, alla luce di questo ragionamento, che il Codice della strada supera il test di liberalismo a cui qualcuno ha preteso di sottoporlo. Un intervento era necessario e doveroso, assolutamente compatibile con i principi del liberalismo.
Il nuovo Codice della strada è liberale perché tutela la libertà di rimanere vivi
Corrado Ocone · 12 Gennaio 2025
Fra le tante accuse, quasi sempre in malafede, che si sono sentite in questi giorni rivolte al nuovo Codice della strada varato dal Ministro Salvini, una in particolare esige una risposta forte e chiarificatrice. Per alcuni commentatori, infatti, l’inasprimento delle pene previsto sarebbe in contraddizione con i principi del liberalismo: indice di un deficit di cultura liberale e della mentalità repressiva e autoritaria che accomunerebbe, fra l’altro, Salvini agli altri esponenti del governo in carica.
Che sia una tesi pretestuosa lo si dimostra con un semplice ragionamento. È assolutamente vero, infatti, che in certi ambienti liberal-libertari, soprattutto americani, si usa dire che, se qualcuno ha intenzione di correre come un pazzo su una strada e rompersi la testa, ha tutto il diritto di poterlo fare. In linea di massima, cioè da un punto di vista astratto e teorico, il principio vale: l’individuo, in ottica liberale, gode di una sovranità assoluta e può pensare e comportarsi come meglio crede. La vita gli appartiene e, come c’è un diritto al “perseguimento della felicità”, per dirla con i Padri Fondatori, così deve concedersene anche uno all’infelicità e persino all’autodistruzione. Di tutto abbiamo bisogno fuorché di uno Stato Pedagogo, che è poi una variante dello Stato Etico, che ci dica nei particolari come comportarci.
Tutto vero. Se però scendiamo dalla teoria alla realtà concreta ci accorgiamo che ogni individuo deve ogni giorno mettere in gioco la sua assoluta libertà nella società. Detto altrimenti, deve fare i conti con la uguale libertà e con la vita di tutti gli altri. È in questa dimensione sociale che perciò la questione va correttamente collocata. Guidando un mezzo da ubriaco o sotto l’effetto di droghe, sfrecciando in città anche sui marciapiedi come spesso avviene, guidando avendo in una mano un telefonino, ecc. ecc., io metto a repentaglio non solo la vita mia ma anche quella degli altri. Di fronte a un aumento esponenziale degli incidenti e delle morti causate da certi comportamenti sulla strada, il legislatore non poteva perciò stare fermo: doveva intervenire e intervenire con mano pesante. E così è stato.
Regolare la vita sulle nostre strade non significa perciò comprimere la libertà individuale, ma, al contrario, provare a garantire la libertà e la vita di tutti. Lo Stato di diritto, a ben vedere, non è nato altro che per raggiungere questo fine di tutela e protezione della vita. Passate in filigrana una per una le misure prese, si può perciò ben dire, alla luce di questo ragionamento, che il Codice della strada supera il test di liberalismo a cui qualcuno ha preteso di sottoporlo. Un intervento era necessario e doveroso, assolutamente compatibile con i principi del liberalismo.
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Corrado Ocone
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