Roberto Arditti: macché nemico, all’Europa servono 3 o 4 Musk
Giovanni Sallusti · 11 Gennaio 2025
A “Parlando liberaMente”, la nostra intervista settimanale con i protagonisti dell’attualità, della politica, del giornalismo, Giovanni Sallusti conversa dei temi politici del momento con Roberto Arditti, giornalista, saggista, editorialista del Tempo e direttore editoriale di Formiche.
“Il capolavoro diplomatico, politico, nelle relazioni internazionali di Giorgia Meloni sul caso di Cecilia Sala mostra che il governo italiano si sta dimostrando capace di interpretare il suo tempo. E il suo tempo è un tempo diverso da quello del mainstream, quindi richiede anche di comportarsi in modo diverso”.
“Santoro e Augias credo abbiano una scarsa conoscenza degli equilibri internazionali attuali, per cui non hanno colto il punto centrale di questa storia: ad avere fretta erano innanzitutto gli iraniani che avevano compiuto un gesto abbastanza disperato, il rapimento di Cecilia Sala, in un momento nel quale l’Iran è debolissimo. Ed è debolissimo innanzitutto perché Israele ha fatto strage del politically correct e ha messo nell’angolo gli iraniani in Libano, a Gaza, in Siria e anche a casa loro”.
“La prigione del politically correct è diventata una gabbia di conservazione, in cui da molti punti di vista è precipitata l’Europa. L’idea è che il mestiere fondamentale delle istituzioni sia produrre regole, ma non è così. Accanto a questo, il sistema istituzionale ha il dovere di promuovere la libera iniziativa, di incoraggiarla e di aiutarla, salvo contrastarla quando supera dei limiti fondamentali nel rapporto con gli altri, i limiti in cui si definisce la civiltà”.
“Questa gabbia è conservatrice nel senso deteriore, perché non riesce mai a superare gli schemi già noti: quando si trova davanti a un personaggio come Musk – che certamente va gestito anche con le basilari regole dell’antitrust, e non è detto che tutto quello che fa o dice vada bene – non ha le chiavi interpretative per affrontare un giocatore di questo genere, quindi lo dipinge come il male assoluto e lo respinge. Ma la lezione che dovremmo cogliere da questa parte dell’Atlantico è che, invece di demonizzare Musk, in Europa dovremmo averne tre o quattro”.
“Per la prima volta abbiamo un signore che non usa lo schema tradizionale che è “portafoglio a destra e presenza pubblica a sinistra”, lo schema sul quale l’intero mondo progressista non ha mai mosso una critica: difendo da destra i miei interessi, ma poi sono un sincero progressista nella mia presenza pubblica, nei film, nei libri che leggo, nelle spettacoli teatrali che vedo, nelle attività che finanzio, e allora tutto è in ordine”.
“L’automobile elettrica è un’interessante opportunità nello sviluppo di una mobilità più sostenibile, ma è diventata antipatica. Non era mai successo nella storia, da quando le automobili sono state inventate sono un elemento simbolo della modernità, della crescita economica. E invece sono diventate l’emblema di una sorta di imposizione intorno a temi ambientali che sono certamente importanti, ma che quando vengono scaricati sulle famiglie, sulla società, sulla politica, in questo modo ossessivo, alla fine producono una reazione contraria. Anche Greta Thunberg è diventata antipatica: c’è un sacco di gente che la detesta perché lei ha reso indigeste le sue battaglie. Questo dovrebbe far riflettere un certo fronte ambientalista: a causa di questa ossessione ora c’è un atteggiamento di repulsione verso quei temi anche quando vengono posti nel modo giusto. Ormai una quota rilevante di potenziali acquirenti delle automobili non vuole neanche sentire parlare dell’automobile elettrica, proprio come reazione istintiva, non per un ragionamento di utilità personale”.
“Il modo di porsi di Donald Trump, così irrituale e aggressivo, ha un suo senso. Siamo in un tempo nel quale molti soggetti a livello internazionale hanno accentuato proprio questo genere di comportamento: non solo la Cina, ma anche Paesi in parte amici dell’Occidente. La Turchia, che è comunque membro della Nato, nell’area a lei più vicina si comporta come una potenza imperiale. E così alcune realtà più lontane: dall’Arabia Saudita per la sua area di influenza, a grandi Paesi dell’est asiatico – oltre alla Cina, per esempio, l’Indonesia; o alle potenze emergenti dell’Africa, per esempio la Nigeria con i suoi oltre 220 milioni di abitanti. Quello che stiamo vedendo è un risorgere delle politiche di potenza. Che vanno gestite e affrontate in modo non timido. Ecco perché gli americani hanno scelto Trump alla Casa Bianca: perché dimostra di non voler essere pavido di fronte alle sfide del tempo”.