Todde diventa autonomista per tenersi la sedia
Giuliano Zulin · 7 Gennaio 2025
Nella prima puntata del 2025 della nostra rubrica “Regioniamoci sopra”, che si occupa dei temi legati all’autonomia differenziata, Giuliano Zulin legge alcuni dati di cronaca, sulla Sardegna e sulla sanità.
La presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, in questi giorni al centro delle cronache per l’ormai noto caso della rendicontazione delle spese elettorali, è sempre stata un’acerrima nemica dell’autonomia differenziata, perché, essendo la Sardegna a statuto speciale, non vuole perdere delle peculiarità di autonomia per cederle ad altri. Questo fatto, da parte di persone che si definiscono progressiste e anche solidariste, è triste e anche ridicolo, perché in realtà si rendono favorevoli al blocco della solidarietà e dell’aiuto a tutto il territorio italiano. Se si aggiunge che Todde ha dichiarato che non si dimetterà perché si ritiene legittimata dal popolo della Regione Sardegna, è chiaro che l’autonomia ha valore a intermittenza, e certamente non in favore di altre regioni: per esempio, la Sardegna ha utilizzato la sua autonomia per bloccare per 18 mesi qualsiasi nuovo intervento di costruzione di impianti di energia rinnovabile, soprattutto eolici, per evitare che siano sfruttati dal territorio nazionale, magari rovinando il paesaggio.
Per quanto riguarda la sanità, che è ritenuta in generale come regionalizzata, Zulin cita uno studio della rivista più autorevole in questo settore, Lancet: in contraddizione con quanti sostengono che con l’autonomia differenziatala situazione sanitaria peggiorerà ulteriormente, la rivista spiega che la migrazione sanitaria, cioè andare a curarsi in Regioni più efficienti della propria, costa più di 3,3 miliardi di euro l’anno, definiti come sprechi. Questo, sostiene Lancet, perché non vengono curate le persone nel proprio territorio, e per il fatto che mancano le cartelle cliniche.
In pratica non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche, dei dati ospedalieri e delle cartelle dei medici di base. Un sistema così frammentato non solo delude la popolazione italiana, ma impone anche un notevole onere economico al Paese.
La sanità italiana pubblica e universalistica ha dei problemi derivati anche dal fatto che dal governo Monti in poi è stata una delle voci più tagliate, tant’è che nel giro di poco più di un decennio sono andate perse risorse per 40 miliardi per le regioni sia a saluto ordinario sia a saluto speciale. Ma soprattutto la sanità di fatto è diventata regionale nella gestione ma non nella formazione delle risorse, perché se ogni anno sui fondi si deve contrattare e i parametri cambiano continuamente (a volte anche per calcoli politici) non ne risulta un sistema responsabile, ma un sistema arlecchino, dove i criteri possono cambiare di continuo e così pressioni e amicizie politiche influiscono sui servizi. Il risultato finale è che abbiamo una sanità che sulla carta è regionalizzata ma in realtà non lo è.