Buon Natale, la radice di ciò che siamo

· 24 Dicembre 2024


Cari ascoltatori, oggi oltre che augurarvi un buon Natale vorrei ringraziarvi: i protagonisti di questa striscia siete anzitutto voi, ascoltatori della radio e lettori del nostro sito, voi comunità che si è sempre stretta attorno alla nostra testata e ci ha anche incalzato costruttivamente: non siete stati mai passivi recettori del nostro lavoro, avete contribuito ogni giorno a migliorarlo.

Augurarvi e augurarsi vicendevolmente buon Natale, fra l’altro, oggi non è così banale, vale molto di più di “buone feste”. È un atto pieno di contenuto, fieramente identitario, un atto politico nel senso compiuto dell’espressione, cioè che riguarda la polis, la nostra convivenza, il nostro stare insieme. È scritto già nel nome: Natale deriva dal latino “natus”, nato, o dall’aggettivo “natalis”, che riguarda la nascita, di quel bambino a Betlemme che ha spaccato in due il corso della storia. Piaccia o meno, gli anni noi li contiamo a partire da quell’evento immane, questa cosa il relativismo woke non è riuscito a intaccarla; mentre ha intaccato il senso simbolico del Natale con supercazzole politicamente corrette, la festa della neve, la festa dell’inverno, la festa dell’amicizia. La peggiore di tutte è “il Natale multiculturale”, che è veramente disonesta perché nega la specificità enorme di quel momento.

Invece, festeggiare la nascita di Gesù Cristo vuol dire scomodare un preciso orizzonte culturale, dalle pratiche di vita alla metafisica, il senso della civiltà occidentale, perché è a partire dal significato di quel bambino (che poi è un Dio che si fa carne e colma il fossato tra terra e cielo, caricando se stesso di sofferenza suprema), è a partire dal suo cammino e dai suoi insegnamenti che esistono i connotati della nostra civiltà: la dignità radicata in ogni persona a prescindere dalla sua condizione; l’idea rivoluzionaria che la vita è sacra e intangibile di per sé, di fronte alla quale si deve arrestare anche il più potente tra i potenti, anche la macchina dello Stato. Quel bambino sarà anche il fondatore della laicità occidentale, colui che dirà “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”: altra cosa rispetto al laicismo, che è una subdola forma di fondamentalismo.

Insomma, dirsi buon Natale prestando orecchio al senso di queste parole vuol dire rivendicare il significato della nostra civiltà, che – come diceva Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona, forse l’ultimo vero colpo di reni, di fierezza culturale della nostra civiltà – è fondata sulla profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia, cioè tra la ragione, il logos greco, e la fede nel Dio che si fa uomo.

Il Natale è una scelta di campo, la fonte delle premesse dalle quali scaturiscono l’apertura all’altro, la condivisione, la fratellanza: la dignità della persona, la sacralità della vita, la separazione tra peccato e reato non sono scontate, non riguardano qualunque frullato multiculturale: ci definiscono in quanto occidentali. Grazie a tutti voi, buon Natale.


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