Il festival dei rosiconi (vince Giannini)

· 21 Dicembre 2024


Cari ascoltatori, oggi è il festival dei fegati spappolati, dei contorcimenti politici, degli attacchi di isteria, in sintesi dei rosicamenti di sinistra, dopo la sentenza per il processo a Salvini che, come dice Mario Sechi su Libero, non avrebbe mai dovuto tenersi.

Per esempio, Laura Boldrini, la madrina dell’immigrazionismo come religione, dice “rispettiamo sempre le sentenze, i giudici e il loro lavoro, ma la politica non si fa nelle aule di tribunale”: cioè, fino a ieri hanno tifato perché un avversario politico rispondesse ai giudici dei suoi atti politici su un tema chiave come l’immigrazione; e oggi, poiché il tribunale non li ha fatti contenti, svoltano secco e dicono che la politica non si fa nelle aule, e che quindi non cambia la condanna morale e politica sull’inaccettabile condotta di Salvini. Esimia onorevole Boldrini, la condanna morale riguarda le coscienze individuali, e lei nella sua coscienza può condannare moralmente Matteo Salvini, pensarne il peggio possibile: ma non è un tema pubblico, oggettivo, non è cosa dello Stato, altrimenti saremmo a Teheran.

Elly Schlein non è da meno: “La nostra critica alle scelte di Meloni e Salvini, oggi come ieri, è tutta politica”: oggi si sono svegliati, lei e i suoi, novelli teorici della separazione dei poteri. Proprio Elly che capeggiò il crocchio delle opposizioni in Liguria, invocando gli arresti per Giovanni Toti, oggi nega di aver mai mischiato politica e giustizia.

Ma il rosicamento elevato ad arte è rappresentato dall’editoriale di Massimo Giannini su Repubblica, intitolato “Salvini, fine di un alibi politico”. Scrive Giannini: “Sul piano giuridico, i magistrati erano chiamati a stabilire non se l’atto amministrativo col quale fu negato l’approdo all’imbarcazione della Ong spagnola fosse lecito in sé, ma se configurasse il reato previsto dall’articolo 605 del codice penale – il sequestro di persona, appunto, in base al quale i pubblici ministeri avevano chiesto la pena della reclusione fino a sei anni. I giudici palermitani, affermando che “il fatto non sussiste”, hanno stabilito soltanto che il diniego ministeriale alla concessione del “porto sicuro” non ha privato quei poveri cristi della libertà personale. E questo è tutto. Il tribunale, com’era logico e giusto, si è limitato a dichiarare l’innocenza di Salvini limitatamente a questa specifica fattispecie penale. Ma non ha affatto assolto la sua gestione complessiva, strumentale e delinquenziale, del fenomeno migratorio”.

Siamo di fronte a una meravigliosa inversione della presunzione di innocenza: secondo Giannini la sentenza dice solo che non era sequestro di persona, ma la politica e l’azione di Salvini erano comunque criminali, a priori, che il sequestro di persona non ci sia stato è un dettaglio. Insomma, siamo alla diffamazione.

E ancora, ormai fuori controllo: “Qui non c’è nessun “lasciapassare”, postumo o preventivo, su tutte le forme di crudeltà normativa congegnate finora dalla destra cattivista per respingere i profughi fingendo di sgominare gli scafisti”. Ma Giannini va capito: ieri è stata la débacle del manettarismo radical chic che ha in lui un esponente di spicco. “Da vicepremier, ministro dei Trasporti e capo politico assolto dai suoi reati, Salvini dovrà continuare a fare i conti con i suoi soliti peccati. Quelli ai quali non sa più trovare rimedio”. Ma in che senso? Avendo perso sul terreno dei reati, don Giannini si sposta sul terreno teologico, dei peccati?

Ecco, in questo affanno c’è la sintesi, il panorama della crisi del manettarismo: è una crisi di concetto, una crisi d’identità e una crisi di dignità. Don Massimo Giannini, la penna a volte la si può anche lasciare poggiata sul tavolo.


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