Uno spettro si aggira per l’Italia: è Romano Prodi
Giovanni Sallusti · 17 Dicembre 2024
Cari ascoltatori, si aggira nel dibattito pubblico italiano lo spettro del ritorno di Romano Prodi. Spettro da sempre, almeno da quando partecipò alla celebre seduta spiritica in cui uscì il nome della strada in cui si trovava il covo dove le Brigate Rosse tenevano Aldo Moro, via Gradoli (poi equivocato nel paesino di Gradoli, dove furono spedite le forze dell’ordine). È curioso che nessuno gli abbia mai chiesto una spiegazione, magari più razionale della presenza dei fantasmi, su come questi signori si fossero imbattuti in quell’informazione: più che un mistero, un buco nero della storia italiana.
Ma veniamo al presente. Il mainstream fatica a contenere l’entusiasmo per il ritorno prodiano: Fabrizio Roncone sul Corriere si esercita sul tema del professore che solo ripresentandosi fa innervosire la destra, tipica pensosa analisi da giornalista serio e riflessivo. Peccato che, ora diamo un calcio all’ipocrisia, Prodi non se ne sia mai andato: non solo perché non ha mai mollato la sua rete di potere interna al centrosinistra e alle istituzioni europee, né ha mai smesso di maneggiare leve. Non se ne è mai andato perché rappresenta esattamente che cos’è oggi la sinistra italiana, parola che va bene come convenzione a uso dei giornalisti che però non indica più nulla: Prodi da decenni incarna piuttosto l’establishment pseudoprogressista italiano, e infatti gli aedi dell’establishment si esaltano.
Prodi è innanzi tutto è un uomo del capitalismo di relazione, del capitalismo appoggiato allo Stato – se non smaccatamente statalista – all’italiana. Ricordiamo quando guidò l’Iri, che dalla sua gestione uscì decotta, ricordiamo il tentativo di svendita della Sme a De Benedetti, fermato solo dall’opposizione di Craxi. È l’uomo dell’ingresso masochista nell’euro, con un disastroso cambio al doppio, mentre diceva che “entrare nell’euro sarà come lavorare un giorno in meno alla settimana”, frase che esprime tutta l’ideologia eurocratica; è il politico italiano che ha sempre sostenuto la prevalenza delle leggi europee su quelle italiane.
Romano Prodi non è neppure un amico dell’Occidente, del legame transatlantico: un europarlamentare britannico addirittura rivelò alla Bbc che la famosa spia sovietica Aleksandr Litvinenko, poi ucciso col polonio, aveva confidato che Prodi era un uomo del Kgb. Paolo Guzzanti, quando si occupò della commissione Mitrokhin, riferì che fonti qualificate russe definivano Prodi popolarissimo nei corridoi del Kgb. Se il Kgb ti osanna, vien difficile pensare che la libertà sia la tua stella polare.
Romano Prodi è anche un entusiasta filocinese: è consulente di un’importante agenzia di rating del Dragone, ha appena ricevuto la cattedra di cultura italiana a Pechino voluta dalla fondazione Agnelli, e non perde occasione, in convegni e conferenze, per magnificare i vantaggi garantiti dalla Cina anche per l’economia italiana. È evidente che non è un grande tifoso dell’unione del mondo occidentale tra le due sponde dell’Atlantico.
Ricordiamo anche che, alla guida del governo, Prodi è stato l’uomo della patrimoniale, delle tasse al ceto medio, l’uomo delle privatizzazioni senza liberalizzazioni per fare gli interessi degli amici (che poi magari ti danno una cattedra a Pechino). Rappresenta l’eterno gattopardismo dell’establishment.
Ecco perché Prodi non se n’è mai andato, perché lui è l’alfabeto della sinistra italiana. La Schlein durerà come un gatto in tangenziale, non sarà certo la candidata premier alle prossime elezioni: Prodi invece c’era, c’è e temiamo ci sarà anche allora, vero capo del centrosinistra, nonché regista della gamba di centro cattocomunista a sostegno del Pd. E ricordarsi di qual è il vero avversario farà bene anche al centrodestra, per essere sempre certi di andare in direzione opposta.