Gogna per i cc di Corvetto. Saranno contenti i violenti
Giovanni Sallusti · 10 Dicembre 2024
Cari ascoltatori, siamo al circo mediatico giudiziario sulla pelle delle periferie. Che cos’è il circo mediatico giudiziario? È quella stortura del vivere civile che impera almeno dal 1992, per cui informazioni delicate escono dagli uffici in cui dovrebbero essere custodite e finiscono nelle redazioni dei giornali, con l’obiettivo dello sputtanamento: per esempio l’iscrizione nel registro degli indagati di qualcuno, che a quel punto diventa a uno stigma sociale, se non già una sentenza di colpevolezza.
Come sapete dalla cronaca, due carabinieri sono stati iscritti nel registro degli indagati per la vicenda in cui ha perso la vita il 19enne egiziano Ramy Elgaml al quartiere Corvetto di Milano. Le ipotesi di reato sono pesanti, falso in atto pubblico e depistaggio: si riferiscono al fatto che nel verbale non c’è riferimento a un impatto tra l’auto dei carabinieri e lo scooter su cui erano i due ragazzi, che invece si ritiene sia avvenuto, seppur accidentalmente. E il depistaggio riguarda il fatto che un testimone avrebbe registrato un video dell’impatto e i due carabinieri gli avrebbero intimato di cancellarlo.
Non è indifferente che la parola “ipotesi” sui giornali di stamane si veda poco. Il fatto che non viene tenuto in debita considerazione è un’ovvietà che è andata completamente perduta: cioè che i due carabinieri sono innocenti fino a prova contraria, cioè fino al terzo grado di giudizio. E questo accade perché il clima in cui viviamo è di una caccia ideologica alle divise, per cui figurarsi se questa su notizia non si specula.
Ma è ancora più inquietante è l’assenza di riservatezza, anzi l’immediata diffusione della notizia a scopo di sputtanamento, che, peggio ancora, va a incidere su una ferita dell’attualità e su una situazione di pericolo sociale. Chi l’ha fatta uscire, evidentemente da qualche ufficio giudiziario, non vive su Marte: sarà a conoscenza del fatto che a Milano c’è un clima da rivolta delle banlieue, che il Corvetto è stato sequestrato per due giorni da squadracce di rivoltosi, tendenzialmente nordafricani, che appiccavano incendi, attaccavano le forze dell’ordine, fermavano automobili, investivano la gente (una ragazza è andata in ospedale), con la pretesa di prendere il controllo del quartiere. E saprà anche che non si tratta di un fenomeno estemporaneo, ma ha radici nelle condizioni di molte periferie che sono state ridotte a ghetti, soprattutto da amministrazioni che si sono dedicate ai centri storici, alle Ztl – la gestione Sala ne è un campione – abbandonando le periferie a tutte le tensioni che sgorgano da immigrazione incontrollata, mancata integrazione, comunità che esercitano il monopolio del controllo sul territorio.
Tutto questo è deflagrato con la morte del povero Ramy, e diffondere quel documento non è stato un atto di grande coscienza civile, perché ora le squadracce lo tratteranno come uno strumento per forzare la realtà e sostenere “vedete che sono stati i carabinieri”. Un circo mediatico-giudiziario sulla pelle del Corvetto, alimentato da qualcuno che sicuramente non vive al Corvetto, non è un bel vedere.