Macché genocidio, gli arabi in Israele sono benvenuti

· 9 Dicembre 2024


È Ugo Volli l’ospite odierno della rubrica “Auto da fé”, in cui si discute di temi di attualità, di economia e di geopolitica. Volli è semiologo, giornalista, critico teatrale. Ha insegnato a lungo nelle università di Bologna e di Torino. Ha al suo attivo una trentina di libri (fra gli altri “Contro la moda”, “Figure del desiderio”, “Manuale di semiotica”, “Il resto è interpretazione”) e circa trecento articoli scientifici. Scrive spesso di argomenti ebraici e mediorientali, e oggi discute con Giulio Cainarca di temi legati alla situazione di Israele e del Medio oriente.

Che senso ha parlare dell’azione di Israele a Gaza come di un “genocidio”?

Nessuno. “Chiunque giri in Israele vede le moschee, vede le chiese, vede le croci, vede i minareti, ovunque e a Gerusalemme. Da parte di Israele non c’è mai stato assolutamente alcun tentativo di cancellare la cultura araba. Il punto fondamentale è questo: dentro Israele c’è pieno spazio per la popolazione araba con tutti i diritti sociali e politici. Chi dalla popolazione palestinese vuole prendere la cittadinanza israeliana e accettare le leggi dello Stato, come fa chiunque entri in una comunità politica, può farlo: può fare domanda e venire accolto, se non ha carichi penali e cose del genere. Quindi non c’è da parte di Israele alcuna indicazione di una volontà di distruggere il popolo palestinese, il che sarebbe assurdo, peraltro anche dal punto di vista logico”.

“Gli arabi in Israele sono il 20% della popolazione e a volte si definiscono palestinesi: sono pienamente liberi. Esprimono deputati, esprimono ministri, esprimono giudici della Corte suprema, esprimono professori universitari, hanno sindaci, sono ammessi all’Università, sono trattati come cittadini, cioè come tutti gli altri, hanno partiti e quindi da questo punto di vista non c’è nessuna differenza. In Israele ci sono tre lingue, per esempio le indicazioni sulle strade e le leggi sono scritte in ebraico, in arabo e in inglese”.

“Ma anche solo l’idea che gli israeliani, che sono 8 milioni, possano volerne distruggere 500 è un po’ la storia del topo che vuole picchiare l’elefante, ha poco senso…”.

Israele a Gaza, lungi dal voler «distruggere» la popolazione civile, ha cercato come poteva di tutelarla, annunciando in anticipo e dettagliatamente le zone sottoposte ad offensiva, indicando vie di fuga e luoghi sicuri, introducendo centinaia di camion di rifornimenti al giorno, anche con la consapevolezza che i terroristi si sarebbero impadroniti della maggior parte di questi aiuti per usarli a loro vantaggio.
Non è mai esistita, nella storia, una guerra in cui un esercito si facesse carico in maniera simile della necessità di salvaguardare nei limiti del possibile la popolazione civile.

Parlare di genocidio o anche solo di sproporzione militare significa ignorare che vi è una volontà esplicita e dichiarata di Hamas, di Hezbollah, ma anche dell’Iran, di distruggere lo Stato ebraico e di sterminare i suoi cittadini. Di fronte a questa minaccia non solo proclamata, ma portata all’azione concreta da sette fronti, lo Stato di Israele ha esercitato il dovere di difendere l’incolumità dei suoi cittadini eliminando la forza militare e l’organizzazione politica dei terroristi.

 


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