Macron, c’est fini
Giovanni Sallusti · 3 Dicembre 2024
Cari ascoltatori, Macron c’est fini. In Francia sta collassando il governo Barnier, che era l’ultimo esperimento da laboratorio allestito dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron, ordito nel tentativo di evitare che la Francia tornasse a una compiuta dialettica politica tra destra e sinistra.
Macron convocò le elezioni all’indomani dell’affermazione alle elezioni europee di Marine Le Pen, che poi vinse anche alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale. Dopo settimane di estenuanti trattative, Macron mise in piedi un governo “tecnico” con in testa Michel Barnier, uomo di lungo corso nell’istituzione europea (è stato il capo dei negoziatori sulla brexit con il Regno Unito), per sterilizzare sia la gauche estrema, spesso islamogauchista, che si raggruma attorno a Jean-Luc Mélenchon, e la destra del Rassemblement national, oggi compiutamente un partito conservatore che ha nella sua orbita anche un bel pezzo di eredità gollista. Marine, fra l’altro, in questi mesi ha mantenuto un profilo pragmatico, ha trattato con Barnier alcuni provvedimenti che a suo giudizio sono nell’interesse dei francesi in un momento prolungato di crisi economica.
L’esperimento asettico e apolitico di Macron sta andando incontro al tramonto ed è improbabile che, dovendo affrontare le due mozioni di sfiducia di Melenchon e di Le Pen, Barnier riesca ad andare avanti. Sui mercati i titoli francesi oggi sono equiparati a quelli della Grecia e lo spread con la Germania è a livelli record (ma sappiamo che lo spread record con i governi tecnici fa meno scandalo). A dare il colpo di grazia sono state due altre circostanze: il rifiuto di Barnier di adeguare le pensioni all’inflazione a partire da gennaio, come chiedeva Le Pen, e il prolungamento degli aiuti medici gratuiti per gli immigrati irregolari che costano circa 1,6 miliardi l’anno ai francesi, dai quali Barnier ha tolto solo 200 milioni.
Ma soprattutto, Macron è finito perché la stagione del macronismo ha incarnato la grande illusione che la politica classica fatta di visioni del mondo alternative non esistesse più. Invece, la politica cambia, la faglia destra-sinistra è storica e le due parti certamente si aggiornano, ma non scompaiono: insomma non si può stare all’infinito in uno stato di sospensione tecnocratica. Macron ha congelato la dialettica politica, ma le visioni del mondo alternative esistono comunque: così i partiti che sostengono Barnier si sono rivelati incapaci di garantire anche la sola manutenzione, che era il motivo per cui il governo Barnier era nato.
Coloro che propongono la sfiducia hanno invece due visioni del mondo opposte: una per noi orripilante, della gauche à la Mélenchon, che ha come sua premessa l’abdicazione dell’identità francese, europea e occidentale in favore di un melting pot che fa gli interessi di altre culture: e in Francia è in particolare quella islamica e islamista, da anni fuori controllo. E poi c’è la visione di Marine Le Pen, un conservatorismo nazionale che vede la salvezza della Francia nelle sue ragioni fondative storiche: la religione cristiana, l’intangibilità della persona, il mantenimento degli Stati, di nazioni che non devono essere assorbite da un’euroburocrazia asettica e apolitica.
Michel Houllebecq nella sua distopia di “Sottomissione” è arrivato a teorizzare addirittura una guerra civile: perché non sia così deve tornare la politica. Il macronismo, la tecnocrazia e la dialettica congelata nell’interesse dell’uomo all’Eliseo non funzionano più.