Il bruto e il prete: così Giovanni Brusca si è pentito
Giulio Cainarca · 3 Dicembre 2024
In questa nuova puntata della rubrica “Auto da fé”, in cui si discute di temi di attualità, di economia e di geopolitica, Giulio Cainarca parla con Felice Manti, caporedattore centrale de Il Giornale, del libro di Don Marcello Cozzi “Uno così – Giovanni Brusca si racconta”, pubblicato dalle Edizioni San Paolo (192 pagine, 15 euro), in cui l’autore si confronta con uno dei mafiosi più tristemente famosi e con alcuni temi collegati al loro incontro: dove e come nascono, come si nutrono la cultura e la prassi mafiose? Quale ruolo ha e deve avere la scuola?
Brusca appare a don Cozzi come un signore anonimo, perbene, ben curato, nel senso inteso da Anna Harendt: una persona normale che ha commesso azioni mostruose. Per spiegare la figura di Brusca il libro tocca anche il tema del rapporto padre-figlio, il concetto di responsabilità personale rispetto al fatalismo di una certa mentalità nel Meridione d’Italia, il modo in cui un uomo del Sud vede lo Stato, si interroga sul perché lo considera nemico.
Per don Marcello Cozzi Giovanni Brusca è il figliol prodigo: va inseguito con un’etica cristiana che a prima vista contrasta con la visione illuminista della responsabilità individuale. Quando Brusca sente di non avere più il rispetto popolare e viene chiamato “mostro” si innesca in lui un processo di “cambiamento”, perché sente che le gente gli ha voltato le spalle: la mafia potrà finire quando i mafiosi sentiranno che le società in cui vivono sono ostili ai mafiosi.