Non ci mancherà (e neanche ai nostri portafogli)
Giovanni Sallusti · 2 Dicembre 2024
Cari ascoltatori, le dimissioni di Carlos Tavares da amministratore delegato di Stellantis (diciamo incoraggiate da John Elkann e i vertici dell’azienda) sono un’ottima notizia, perché noi siamo sempre affezionati alla realtà, ed è un fatto che con Tavares il gruppo ha visto il segno meno sotto ogni punto di vista: industriale, finanziario, di strategia progettuale, per non dire della delocalizzazione selvaggia in assenza di un piano di sviluppo.
È una buona notizia per i lavoratori Stellantis, soprattutto gli italiani, che hanno vissuto la chiusura di stabilimenti, la cassa integrazione, un totale assenza di prospettive. E lo è anche per i contribuenti italiani: perché anche nella sua ultima audizione alle Commissioni parlamentari Tavares aveva replicato l’antico vizio di casa Fiat, quello sintetizzato nell’aforisma dell’avvocato Agnelli, “privatizzare gli utili, socializzare le perdite”. Insomma era andato a batter cassa alla nostra politica, a chiedere soldi che, come ricordava Margaret Thatcher, non sono “pubblici” ma dei contribuenti.
La notizia delle dimissioni di Tavares è ottima anche dal punto di vista del merito: nel mercato, dove Stellantis ha mostrato “per tradizione” di non essere sempre a suo agio, il merito ha un senso, anzi è un discrimine. Vediamo allora qualche numero di mercato: dal 2021, anno di nascita di Stellantis, il conto complessivo della cassa integrazione è stato di 984 milioni di euro, di cui solo 280 a carico dell’azienda, gli altri oltre 700 milioni li abbiamo messi noi. E mentre i contribuenti italiani pompavano soldi, Stellantis licenziava: dal 2021, quando è entrato in carica Tavares, sono stati persi 10 mila posti di lavoro, da 52.700 a 42.700 dipendenti.
Poi ci sono i dati disastrosi della terza trimestrale, probabilmente l’innesco della decisione di Elkann e dei vertici aziendali: -27% di ricavi rispetto al terzo trimestre del 2023; -20% nelle vendite di auto rispetto all’anno scorso, cioè 279mila auto in meno; -12% di fatturato in Europa. E infine, il crollo del fatturato negli Stati Uniti, il mercato più importante, con -42%, un disastro.
Va ricordato che Tavares era uno degli ultimi mohicani del green deal, mentre ormai molti altri gruppi dell’automotive europeo se ne sono smarcati e alcuni hanno perfino capeggiato una sorta di rivolta del settore contro il green deal acritico, contro l’ideologia della conversione forzata. Anche per questo motivo le sue dimissioni sono un’ottima notizia: un manager scarso le cui performance sono state imbarazzanti, e inspiegabilmente affezionato all’ideologia dell’elettrico che sta falciando intere filiere dell’automotive europea – pensate a che cosa sta accadendo in Germania – per l’esclusivo gaudio di Pechino.
La nostra speranza è che da oggi si vada in controtendenza rispetto al passato, e che nel gruppo Stellantis comincino a prevalere quelle due M: mercato e merito.