Montolli: Erba, gli errori del processo di revisione
Giulio Cainarca · 18 Novembre 2024
In questa nuova puntata della rubrica “Auto da fé”, in cui si discutono di temi di attualità, di economia e di geopolitica, Giulio Cainarca discute con lo scrittore Edoardo Montolli della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che ha rigettato le istanze di revisione del processo per la strage di Erba, scoprendo che i giudici citano fatti che non si sono mai verificati e li pongono anche a fondamento di alcune delle loro motivazioni.
Innanzitutto, la Corte scrive che le possibili prove derivanti da interviste rese a testate giornalistiche e televisive non possono essere ammesse in sede processuale, perché, scrivono i giudici, “il soggetto intervistato non ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario, è sicuramente condizionato dal mezzo e dalla pubblicità che esso garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore e a porsi in una luce favorevole, abbandonandosi a supposizioni ed esprimendo opinioni personali che non sarebbero ammesse in sede processuale.
Nessun presidio, aldilà della deontologia dell’intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle sue risposte e della correttezza delle domande, che ben possono essere, in un’ottica di mero giornalismo investigativo, suggestive, insinuanti e insidiose”; e poi le testimonianze raccolte “fuori da un’aula di giustizia, in contesti privi della “sacralità” propria del processo, senza obbligo di verità” non sono ammissibili.
Il paradosso clamoroso è che proprio per il processo relativo alla strage di Erba, in primo grado, a Como, non solo fu sentito come testimone il giornalista Pino Corrias, autore del libro “Vicini da morire”, un libro pieno di errori, ma per la prima volta venne acquisito a processo il suo intero libro, e il giornalista in aula confermò i virgolettati delle interviste che componevano il suo libro: insomma, se la pubblica accusa chiama un giornalista, il suo lavoro entra in tribunale e diventa fonte di prova; se la difesa raccoglie elementi di prova di origine giornalistica, quegli elementi non possono entrare in un tribunale. In tutto questo, nessun giornalista d’inchiesta italiano ha avuto nella da ridire su questa osservazione della Corte d’Appello di Brescia che scredita alla radice il lavoro giornalistico di inchiesta.
Nella conversazione con Montolli si passano poi in rassegna i numerosi fatti che la Corte d’Appello di Brescia ha posto a fondamento del no alla revisione del processo e che non trovano riscontro nei fatti:
per esempio, l’intossicazione da monossido di carbonio di cui fu vittima Mario Frigerio, che lo condusse ad avere una memoria non affidabile, è agli atti, ma i giudici di Brescia scrivono il contrario.
I giudici inoltre riportano in sentenza che i colloqui di Mario Frigerio con gli inquirenti furono fatti ascoltare in aula al processo di primo grado a Como, ma questo non è mai avvenuto. Ci sono poi una serie di fatti accaduti e non riportati negli atti giudiziari, una grande quantità di intercettazioni letteralmente scomparse in giorni cruciali per le indagini e una grande quantità di intercettazioni assai rilevanti scoperte solo dopo i tre gradi di giudizio e quindi mai esaminate.
La Corte d’Appello di Brescia scrive che tutto questo non ha importanza perché conta solo la testimonianza in aula del signor Frigerio nel 2008: ma anche questa testimonianza in realtà certifica che Frigerio non ricordava affatto quel che accadde nel dicembre 2006, subito dopo la strage. Inoltre, le intercettazioni della vicenda processuale della strage di Erba sono state gestite da una società che per il 40% aveva soci ignoti, schermati dietro una fiduciaria svizzera.
Intercettazioni scomparse, altre secretate e rese inaccessibili agli avvocati, e gestite da società con soci anonimi: tutto questo non indigna alcun giornalista tra quelli che protestano contro il bavaglio alle intercettazioni.
Cainarca e Montolli hanno poi discusso del modo in cui sono state ritenute non rilevanti dalla Corte d’Appello di Brescia le consulenze circa la morte della signora Valeria Cherubini: consulenze che inanellano elementi tutt’oggi non considerati in tre gradi di giudizio e che raccontano una dinamica dell’aggressione e della morte della signora Cherubini totalmente diversa da quella raccontata dalle sentenze. Lo stesso discorso vale per la famosa traccia di sangue di alcune delle vittime trovata sul battitacco dell’auto di Olindo: la traccia non esiste e l’assenza di sangue sul battitacco era stata documentata proprio dal carabiniere che per primo esaminò l’auto e che, si disse poi, aveva trovato la traccia fantasma.
Si è tornati poi sulle confessioni di Olindo Romano e di Rosa Bazzi: piene di errori, di omissioni e di “non ricordo”, nonostante a Rosa fossero state rilette tutte le dichiarazioni del marito. La Corte d’Appello di Brescia ritiene che a Rosa furono fatte sentire solo le frasi iniziali delle confessioni del marito, ma questo semplicemente non è vero: a Rosa furono fatte ascoltare tutte le dichiarazioni del marito; a entrambi furono fatte vedere le foto delle scene del crimine, con ciò condizionando naturalmente le confessioni.
Un altro tema è la consulenza dell’ingegner Rabitti, che dimostra che nell’appartamento della strage il giorno della strage, nelle ore precedenti all’eccidio, ma anche nei giorni precedenti, ci fossero consumi elettrici tali da far ipotizzare la presenza di persone in quell’appartamento, contrariamente a quanto stabilito dalle sentenze, ma in armonia con le dichiarazioni di inquilini che abitavano sotto l’appartamento della strage e dissero di aver sentito rumori di passi e di cose trascinate nelle ore immediatamente precedenti la strage; anche l’analisi delle tracce di sangue trovate nell’appartamento conduce a ipotizzare che l’aggressione iniziò all’interno dell’appartamento da parte di persone già presenti.
Si discute infine della esclusione, da parte della Corte di Appello di Brescia, di un nuovo testimone, che aveva la residenza nella casa della strage, che spacciava insieme ai tunisini legati al marito di Raffaella Castagna, che ha raccontato che nell’appartamento della strage e nelle sue pertinenze si nascondevano droga e proventi dello spaccio e che già prima della strage c’erano state liti con accoltellamenti e agguati tra i tunisini e bande di spacciatori concorrenti e rivali. Questo testimone fu rintracciato e intervistato dallo stesso Edoardo Montolli e fece dichiarazioni molto dettagliate; ma già nel 2010 un grande trafficante di droga turco, Cemil Yasa, disse di avere elementi che avrebbero scagionato Olindo e Rosa dalla responsabilità per la strage di Erba, e anche allora i giudici non vollero sentirlo. La trasmissione “Chi l’ha visto” di RaiTre si occupò della strage di Erba, ma l’inchiesta fu fermata, per motivi che non sono mai stati chiariti.