Via il canone rai, un vecchiume antiliberale
Giovanni Sallusti · 5 Novembre 2024
Cari ascoltatori, ci tocca ribadire l’ovvio: la battaglia della Lega contro il canone Rai (o perlomeno per la sua riduzione), in queste ore di negoziazione sulla legge di bilancio, è una battaglia squisitamente liberale, quindi nelle ragioni fondative della coalizione politica di centrodestra. La Lega ha infatti presentato un emendamento alla Legge di bilancio che chiede il ripristino della riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro, misura era già prevista nella manovra dell’anno scorso e poi saltata all’ultimo, ovviamente non per volontà della Lega. Si tratta di un intervento doveroso, commentano i parlamentari leghisti in Commissione vigilanza Rai: è ora per il servizio pubblico di migliorarsi senza gravare sui cittadini. In pratica, si tratta di favorire la transizione verso un’azienda in grado di stare sul mercato.
È una battaglia contro una stortura anacronistica, un vantaggio concorrenziale storico della tivù di Stato sulle altre aziende radiotelevisive, mediatiche e informative, perché il concetto stesso di “servizio pubblico”, che risale a quando la Rai nacque, è vetusto. Oggi i grandi gruppi televisivi che fanno informazione e approfondimento non sono un servizio pubblico, le grandi piattaforme sul web nemmeno: il “servizio pubblico” è ormai solo un santino dietro cui nascondersi. E il canone Rai è una delle tasse più odiose di tutto il caravanserraglio fiscale italiano: è una tassa piatta in senso deteriore, che colpisce chiunque sia in possesso di un apparecchio televisivo o di qualunque dispositivo in grado di trasmettere le reti Rai, anche se non le si guarda. E la devono pagare anche i cittadini che vorrebbero esercitare la loro libertà di scelta di pigiare il telecomando su un’altra rete nella vastissima offerta informativa e di intrattenimento presente nella TV digitale e su qualunque altro strumento di ricezione.
Per non dire che l’importo del canone è indipendente dal reddito, ma su questo tacciono sempre i soloni della progressività fiscale che viene tirata fuori ogni piè sospinto contro la flat tax. È una della quindicina di tasse patrimoniali che oggi già esistono in Italia (calcolo della Cga di Mestre), tanto per ribadire come gli aedi di una nuova patrimoniale siano completamente scollegati dalla realtà.
Insomma, siamo in presenza di una tassa patrimoniale piatta e non condizionata dal reddito che altera la concorrenza editoriale nel mercato televisivo e dell’informazione, perché fornisce alla Rai un importante vantaggio che peraltro negli anni non è stato sempre convertito in differenza qualitativa. Non capiamo, quindi, perché Forza Italia, un partito che nasce con la parola d’ordine “rivoluzione liberale”, si opponga alla sua riduzione o, anche meglio, eliminazione: è una battaglia nell’interesse dei cittadini, degli utenti, e speriamo venga portata avanti.