Harris-Trump: Hollywood contro l’elegia americana

· 5 Novembre 2024


Cari ascoltatori, oggi è una giornata spartiacque in cui si giocano i destini del mondo libero: buttate via le paginate di analisi, che tanto finiscono tutte con la tiritera dell’allarme per la democrazia se vince Donald Trump. Non c’è nessun allarme democrazia, Trump ha già governato bene dal punto di vista dell’economia e molto bene sulla politica estera, tenendo a bada le canaglie globali e promuovendo gli accordi di Abramo in Medio Oriente.

Oggi il vero confronto è: Hollywood contro l’elegia americana. Hollywood è l’America di Kamala: hanno sfilato per lei Katy Perry, Lady Gaga, Ricky Martin, Jennifer Lopez che si è esposta fino a fare un comizio, Oprah Winfrey che è la vera architetta del Partito democratico insieme con Barack Obama, che ormai è una pop star più che un politico. Leonardo Di Caprio e Robert De Niro sono intervenuti contro Trump. La fabbrica dei sogni è diventata un organo di propaganda dem.

Dall’altro lato c’è l’Elegia americana, il titolo del libro scritto dal candidato vicepresidente di Donald Trump, J.D. Vance, che attraverso il microcosmo della sua storia familiare racconta un macrocosmo che spiega tanto della politica, spiega perfino il trumpismo come fenomeno pre-politico, esistenziale, che ha a che fare con le radici della società americana. Attraverso la storia di una famiglia che vive nella regione dei Monti Appalachi, tra Kentucky e Ohio, racconta da la proletarizzazione della classe media, lo spaesamento della classe lavoratrice tendenzialmente bianca, a causa di una globalizzazione asimmetrica che ha coinvolto la Cina e la concorrenza sleale nel commercio mondiale: così intere filiere industriali sono andate perdute. È il drammatico racconto della deindustrializzazione della Rust Belt che era il cuore produttivo americano, ma anche dell’impegno individuale per il proprio Paese: Vance ha combattuto in Iraq e ha vissuto la delusione di fronte all’élite che non ha capito l’importanza di questo impegno. Ed è infine anche la storia di un’ascesa che racconta perché il capitalismo americano nonostante tutto funziona ancora: il sogno sta più lì che nella fabbrica dei sogni di Hollywood, ridotta a una macchina di propaganda e di liturgia progressista, a un rito autoreferenziale.

I flussi elettorali recenti descrivono questa spaccatura. Trump nasce per dare voce all’America lavoratrice, del sogno concreto, dell’elegia: noi crediamo che a tutti convenga che vinca lui, che non prevalgano la propaganda woke, l’ossessione politicamente corretta, il mito acritico di una globalizzazione sbilanciata. Agli Stati Uniti e al mondo serve qualcuno con i piedi ancorati nella realtà.


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