La pesante sconfitta subita dal Movimento Cinque Stelle nelle recenti elezioni regionali in Liguria, cioè nella regione di Beppe Grillo, nonché la rottura consumatasi fra il fondatore e Giuseppe Conte, portano a dire che, se non il Movimento come partito, certo il progetto ideale che ne stava alla base sia definitivamente affondato. Non è una cattiva notizia per noi liberali. Con il liberalismo quel movimento non aveva infatti nulla a che vedere, né credo lo volesse.
Tre mi sembrano gli assi portanti che hanno retto questo esperimento, almeno giudicato dalle politiche e dalle azioni messe in campo (di fronte alle presunte idee “visionarie” di Grillo e Casaleggio, esaltate da tanti intellettuali prontamente accorsi sul carro del vincitore, il nostro realismo politico ci consiglia di stare lontani e coi piedi ben piantati a terra). Il primo cardine di azione è stata un’idea radicale di democrazia, un democraticismo assoluto che ha portato a considerare tutti come uguali agli altri, indipendentemente dai meriti e dalle virtù personali, e anche a prescindere dal ruolo svolto in un dato momento nella società.
È la vecchia utopia della politica come mera amministrazione, già esaltata da Lenin quando diceva che nella società comunista anche la sua cuoca avrebbe potuto governare. Ora, chi scrive non crede che il politico debba essere competente nel senso tecnico della parola, ma una competenza in politica deve averla. Abbiamo invece assistito a una marea di “uomini senza qualità” catapultati d’incanto, senza un minimo di gavetta, ai vertici delle nostre istituzioni, resi intercambiabili, a scadenza (dopo due mandati, a casa!), di fatto meri esecutori di ordini imposti dall’alto (in barba e in contraddizione al democraticismo predicato).
Come è noto, il principio dell’uguaglianza formale, dell’uguale dignità di ogni uomo, è proprio delle nostre società. Quando però esso pretende di divenire sostanziale, annullando ogni differenza specifica nell’ “uno vale uno”, il risultato non può che essere o la débacle della classe dirigente che, di necessità, deve guidare ogni società, oppure la strumentalizzazione del principio da parte di una casta cui tutto è permesso perché, come i maiali nella fattoria orwelliana, è uguale sì agli altri animali ma anche un po’ “di più”. I due momenti, fra l’altro, vanno spesso di pari passo. È così che il partito degli anti-casta si è rapidamente trasformato in un partito con la casta più irresponsabile (nel senso che non era tenuta a dar conto dei propri comportamenti) che si sia mai vista. Dall’ “uno vale uno” a “l’ha detto l’Elevato” il passo è stato (e non poteva che essere) breve.
Secondo cardine ideale del grillismo è stato appunto quello della lotta a ogni potere in nome di una presunta “diversità morale”. Questo è stato forse l’elemento più attrattivo per una certa parte dell’elettorato di sinistra, che aveva già intrapreso un percorso che dal dipietrismo lo aveva portato al girotondismo. Il “Vaffa” di Grillo, la volontà di svuotare come una scatoletta di merluzzo un Parlamento di tutti presunti ladri, corrotti, farabutti, è stato il punto di arrivo di questo processo. In nome di un becero giustizialismo, si è fatto strame di ogni principio, seppur minimo, di garantismo liberale.
Terzo e ultimo pilastro è stato poi l’idea, anch’essa di origine comunista, di una uguaglianza economica da raggiungere attraverso una redistribuzione del reddito disponibile slegata dal lavoro, dai sacrifici e dal merito di chi lo ha creato. L’idea perversa del “reddito di cittadinanza”, e in genere della miriade di bonus che purtroppo non sono stati ancora oggi del tutto smantellati, è sbagliata da un punto di vista economico ma soprattutto e prima di tutto morale. È diseducativa e lontana da ogni etica liberale perché premia gli infingardi e castiga chi crea, innova, fa sacrifici.
Quindi: democraticismo, giustizialismo, socialismo populistico in chiave sudamericana. Tracciate queste linee, la conseguenza è fin troppo chiara: noi liberali, più di tutti, non rimpiangeremo il grillismo declinante.
Requiem per il M5s, morto perché uno non vale uno. Non ci mancherà, come non ci manca Lenin
Corrado Ocone · 1 Novembre 2024
La pesante sconfitta subita dal Movimento Cinque Stelle nelle recenti elezioni regionali in Liguria, cioè nella regione di Beppe Grillo, nonché la rottura consumatasi fra il fondatore e Giuseppe Conte, portano a dire che, se non il Movimento come partito, certo il progetto ideale che ne stava alla base sia definitivamente affondato. Non è una cattiva notizia per noi liberali. Con il liberalismo quel movimento non aveva infatti nulla a che vedere, né credo lo volesse.
Tre mi sembrano gli assi portanti che hanno retto questo esperimento, almeno giudicato dalle politiche e dalle azioni messe in campo (di fronte alle presunte idee “visionarie” di Grillo e Casaleggio, esaltate da tanti intellettuali prontamente accorsi sul carro del vincitore, il nostro realismo politico ci consiglia di stare lontani e coi piedi ben piantati a terra). Il primo cardine di azione è stata un’idea radicale di democrazia, un democraticismo assoluto che ha portato a considerare tutti come uguali agli altri, indipendentemente dai meriti e dalle virtù personali, e anche a prescindere dal ruolo svolto in un dato momento nella società.
È la vecchia utopia della politica come mera amministrazione, già esaltata da Lenin quando diceva che nella società comunista anche la sua cuoca avrebbe potuto governare. Ora, chi scrive non crede che il politico debba essere competente nel senso tecnico della parola, ma una competenza in politica deve averla. Abbiamo invece assistito a una marea di “uomini senza qualità” catapultati d’incanto, senza un minimo di gavetta, ai vertici delle nostre istituzioni, resi intercambiabili, a scadenza (dopo due mandati, a casa!), di fatto meri esecutori di ordini imposti dall’alto (in barba e in contraddizione al democraticismo predicato).
Come è noto, il principio dell’uguaglianza formale, dell’uguale dignità di ogni uomo, è proprio delle nostre società. Quando però esso pretende di divenire sostanziale, annullando ogni differenza specifica nell’ “uno vale uno”, il risultato non può che essere o la débacle della classe dirigente che, di necessità, deve guidare ogni società, oppure la strumentalizzazione del principio da parte di una casta cui tutto è permesso perché, come i maiali nella fattoria orwelliana, è uguale sì agli altri animali ma anche un po’ “di più”. I due momenti, fra l’altro, vanno spesso di pari passo. È così che il partito degli anti-casta si è rapidamente trasformato in un partito con la casta più irresponsabile (nel senso che non era tenuta a dar conto dei propri comportamenti) che si sia mai vista. Dall’ “uno vale uno” a “l’ha detto l’Elevato” il passo è stato (e non poteva che essere) breve.
Secondo cardine ideale del grillismo è stato appunto quello della lotta a ogni potere in nome di una presunta “diversità morale”. Questo è stato forse l’elemento più attrattivo per una certa parte dell’elettorato di sinistra, che aveva già intrapreso un percorso che dal dipietrismo lo aveva portato al girotondismo. Il “Vaffa” di Grillo, la volontà di svuotare come una scatoletta di merluzzo un Parlamento di tutti presunti ladri, corrotti, farabutti, è stato il punto di arrivo di questo processo. In nome di un becero giustizialismo, si è fatto strame di ogni principio, seppur minimo, di garantismo liberale.
Terzo e ultimo pilastro è stato poi l’idea, anch’essa di origine comunista, di una uguaglianza economica da raggiungere attraverso una redistribuzione del reddito disponibile slegata dal lavoro, dai sacrifici e dal merito di chi lo ha creato. L’idea perversa del “reddito di cittadinanza”, e in genere della miriade di bonus che purtroppo non sono stati ancora oggi del tutto smantellati, è sbagliata da un punto di vista economico ma soprattutto e prima di tutto morale. È diseducativa e lontana da ogni etica liberale perché premia gli infingardi e castiga chi crea, innova, fa sacrifici.
Quindi: democraticismo, giustizialismo, socialismo populistico in chiave sudamericana. Tracciate queste linee, la conseguenza è fin troppo chiara: noi liberali, più di tutti, non rimpiangeremo il grillismo declinante.
Autore
Corrado Ocone
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